La Duse di Paladina
Marta Malvestiti stella nascente del Piccolo: «Il soprannome da bimba: ogni capriccio diventava un dramma»
Benedice il Piccolo. E Luca Ronconi da lassù («ho fatto in tempo ad assistere alle sue ultime lezioni. Lasciava ancora tutti a bocca aperta, malgrado fosse anziano e stanco»). La carriera d’attrice di Marta Malvestiti nasce a Milano, alla Scuola del Piccolo Teatro intitolata al grande regista, scomparso nel 2015. Lei, bella ragazza begli occhi grandi, classe 1992, di Paladina, nasce in una casa non di attori: «Mia mamma è segretaria, mio papà tappezziere in pensione». Quanto di più artistico in famiglia «era un bisnonno amante dell’opera». Eppure, col senno di poi, la strada di Marta era segnata: «Da piccola facevo molti capricci, ogni stupidaggine diventava un dramma. Per questo mi chiamavano “la Duse”». Come la famosa attrice, amata da D’Annunzio. Marta l’amore l’ha trovato («un attore, compagno di corso»). E l’ha recitato: «Nel ruolo di Berta, l’innamorata del capo partigiano», protagonista di «Uomini e no».
Saggio di fine corso degli allievi della Scuola, è uno degli spettacoli di punta della stagione e ha concluso le sue repliche tra gli applausi, con il tutto esaurito al Piccolo Teatro Studio Melato. Diretto da Carmelo Rifici e tratto dall’omonimo romanzo di Elio Vittorini sulla Resistenza, ambientato a Milano durante l’occupazione tedesca, «Uomini e no» spiega Marta «dà l’opportunità di recuperare la conoscenza di un momento storico di cui ci siamo dimenticati e che la scuola approfondisce poco». Il teatro supplisce la mancanza (tanti i ragazzi delle superiori presenti ogni sera in platea) e la scuola ricambia: «Ho frequentato il Liceo Sarpi di Bergamo. Durante la Scuola del Piccolo abbiamo spesso lavorato sui testi della tragedia greca. I miei studi classici sono stati d’aiuto». Utili anche per portare in scena «Intorno ad Ifigenia, liberata» — sul Mito degli Atridi — la scorsa estate al Festival di Spoleto e per il prossimo «Choròs/Il luogo dove si danza»: «Un progetto sul tragico. Uno spettacolo di movimento espressivo, che porteremo al Lac di Lugano in primavera».
Intanto, l’attrice bergamasca ha l’onore artistico-istituzionale di una lettura scenica di «Uomini e no» a Parigi, all’Istituto italiano di cultura. Un evento che permette ai francesi di omaggiare Milano e i settant’anni del Piccolo. Ne sono passati venti invece (Natale 1997), dalla morte del suo fondatore Giorgio Strehler che, con lungimiranza, reclamò anche la scuola di teatro dove Marta si è diplomata. «Milano e il Piccolo mi hanno accolta, qui mi sento a casa. Dai tecnici, alle sarte, ai miei compagni... insieme abbiamo formato una grande famiglia». Anche se, spiega Malvestiti, «in questi tre anni non tutto è stato facile. A Bergamo torno poco e mi manca. Soprattutto il suo cielo incredibile e i tramonti sulle Mura». Così giovane, Marta ha tanti colleghi di talento, diverse generazioni di attori, cui rubare un po’ il mestiere: «Meraviglioso Fausto Paravidino, mi piacerebbe lavorare con lui; Elisabetta Pozzi è un grande esempio per noi giovani attrici; Fausto Cabra è uscito dalla Scuola ed è straordinario». E poi Mariangela Melato, la cui presenza è in ogni parete e in ogni angolo del Teatro Studio, che porta il suo nome e la sua memoria. Ricorda Marta: «L’ho vista a Bergamo al Donizetti,
nel 2012 in “Nora alla prova” (spettacolo tratto da “Casa di bambola” di Ibsen, ndr). Mariangela Melato — continua — sarebbe morta l’anno dopo». Benedice anche lei.
Nostalgia «Con tutti i ragazzi del teatro formiamo una famiglia, ma Bergamo mi manca»