Il ‘700 di Strehler tende al grigio
La mostra dedicata al regista a Palazzo Reale è documentata ma poco dinamica
La mostra a cura di Lorenzo Arruga nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale (fino al 4 febbraio 2018, biglietti 6/4,50 euro) ricorda lo Strehler illuminista, innamorato del Settecento attraverso le mediazioni dei suoi quattro memorabili Goldoni borghesi e popolari che, con Arlecchino in marcia perenne, diventano la sua poetica (ma va aggiunta la «Minna» di Lessing); e i suoi incredibili Mozart, fino al «Don Giovanni» che conservò per il regista, intatto il suo mistero. Ed è proprio un lavoro di luce e di luci, di palcoscenico e vita, quello che la mostra promossa dal Comune, Scala, Piccolo Teatro e Skira, resuscita in memoriam del genio che con Visconti, inventò in Italia la «regìa».
Come un complesso di osservazioni poetiche sempre accompagnate dal suo grande artigianato teatrale (sta qui il segreto) capace con un lampo, una fetta di luce, un rumore, di illuminare il retrobottega dell’inconscio di chi guarda: per un suo controluce si può delirare. Certo, una materia così legata all’attimo fuggente della serata è difficile da trascrivere in bella copia, così come lo sono alcune struggenti lettere in mostra: manca il dinamismo, il filo di corrente, le voci (ci sono alcuni spezzoni audio e Strehler che racconta), il glamour degli attori poco esposti e visibili. Resta la documentazione con i manifesti, le maschere, le locandine, le foto di scena, le dichiarazioni di Escobar e Pereira, il corredo dei ricordi immoti di palcoscenico, ricomposti per l’eternità sentimentale di chi osserva (sborsando di propria memoria).
Quella del Settecento è solo una delle ipotesi di lavoro, altre ce ne sarebbero state in nome di Brecht, Shakespeare, Pirandello, Cecov, Goethe... Certo, accanto all’esibizione dei principeschi e volteggianti costumi scaligeri nelle sale accanto, la mostra dedicata a Strehler sembra un poco in sottotono, un po’ povera e grigia (quindi pure brechtiana, manca il siparietto) per il materiale usato da appoggio: bisogna metterci molto del nostro, ma c’è un potenziale didascalico che vale un tesoro e resiste al Tempo.