L’IMPUNITÀ E L’ODIO
Siamo sicuri che il diffondersi di manifestazioni di insofferenza, intolleranza, in alcuni casi di puro razzismo, non abbiano niente a che fare con le faticose vicende della giustizia italiana? Se, come è capitato nei giorni scorsi, un ristoratore bergamasco racconta sui social di avere il locale «assediato» da rom che rubano birre e fanno scappare clienti, definendosi «razzista solo con gli zingari», il suo profilo viene invaso da commenti: solidarietà tutta e solo per lui, incitamento alla violenza sui nomadi, invocazioni di soluzioni hitleriane sparse, «a Dalmine nei forni». Il livello è talmente basso, in alcuni casi, che verrebbe da passare oltre. Ma, al fondo, non c’è solo becero razzismo, c’è anche un’esasperazione diffusa. Agli occhi di molti cittadini — anche di sinistra, almeno per nascita — i dati che parlano di un calo dei reati sono risibili se si sono vissute esperienze personali traumatiche, se si vive a contatto con situazioni di degrado urbano e, soprattutto, se si è assistito allo spettacolo dell’impunità che riguarda i reati più vari: spacciatori e ladri recidivi rimessi su piazza dopo rapidi pit stop in carcere; prescrizioni che a Bergamo hanno chiuso più di una vicenda giudiziaria, anche quelle riguardanti politica e affari; fino ai ritardi nelle indagini su fatti inquietanti come l’incendio degli impianti di risalita di Foppolo. Tra gli esasperati non sono molti quelli che poi saprebbero passare a farsi davvero giustizia da soli. La maggioranza resta su Facebook a insultare e cova un odio velenoso, il cui antidoto non sono certo gli appelli al politicamente corretto.