Corriere della Sera (Bergamo)

Bloccato in Cina: «Vittima di una truffa»

Imprendito­re di Zogno fermato all’imbarco in aeroporto «Hanno usato la mia ex società per frodare il fisco»

- Di Fabio Paravisi

Stava per salire su un aereo da Pechino all’Italia quando si è trovato davanti il suo passato. Cioè un’azienda di abbigliame­nto che Valentino Sonzogni ( foto), 50 anni, imprendito­re di Zogno era convinto di avere liquidato anni fa. Ma a nome di quella ditta sono stati accumulati debiti col fisco cinese per 3,8 milioni di euro. Ora non può lasciare la Cina finché la sua posizione non sarà chiarita. Lui: «Sono vittima di un furfante».

«Sono rinchiuso in prigione, una prigione grande come tutta la Cina, ma pur sempre una prigione». Perché è vero che Valentino Sonzogni non è in stato di arresto, ma non può uscire dai confini cinesi. Perché ha con il fisco di Pechino un debito di quasi 4 milioni di euro, risultato da chi ha ereditato una sua società che lui però credeva di avere chiuso.

«Sono arrivato in Cina il 26 novembre per qualche giorno di vacanza e quando, venerdì, sono andato all’aeroporto di Pechino per tornare in Italia mi hanno restituito la valigia e mi hanno annunciato che il mio passaporto era stato respinto. Ma senza dirmi perché», racconta Sonzogni. Che adesso, insieme a un amico avvocato, sta cercando di capire quali siano i «cinque livelli da superare» con la giustizia cinese per uscire dalla situazione in cui si è trovato. E nel frattempo non può uscire dalla Cina.

Sonzogni, 50 anni, di Zogno, laureato in Economia e Commercio a Bergamo, è da molti anni imprendito­re, passando da ambiti diversi. Dal 1991 con la Soninvest, azienda edile di famiglia con sede ad Almè e dal 2009 nel settore delle energie rinnovabil­i, come branca della stessa Soninvest. In mezzo, l’attività che gli ha procurato tanti problemi e lo ha fatto finire nel pasticcio di questi giorni.

«Nel 1998 insieme a un socio, ho aperto a Brescia una ditta di abbigliame­nto femminile — racconta Sonzogni dal suo albergo di Pechino —. Le cose sembrava stessero andando bene, avevamo degli accordi con dei soci cinesi per l’esportazio­ne del nostro prodotto. Tanto che ci siamo detti: andiamo a vendere il ghiaccio agli eschimesi, cioè vendiamo vestiti in Cina. Nel 2005 abbiamo aperto dei negozi a Pechino e Shanghai con il nostro marchio Rose & Thin. Ma abbiamo imparato che sono operazioni che possono avere successo per aziende di fascia alta con alle spalle un grosso nome e grandi investimen­ti, e per la fascia media se ci sono grandi catene che rinnovano comunque le loro offerte».

Insomma l’investimen­to va male e nel 2010 Sonzogni decide di chiudere tutto: «Io ero legale rappresent­ante della società ma non parlo cinese e non so come muovermi in Cina: tutta la gestione era in mano a una general manager locale, ed è a lei che avevo dato incarico di liquidare tutto. Invece lei, a quanto ho capito, ha venduto la società a un furfante che l’ha usata per frodare il fisco, con un debito di 30 milioni di yuan, cioè 3 milioni e 800 mila euro. Vicenda della quale io sono all’oscuro». Sonzogni lo ha saputo solo nei giorni scorsi: «Io a quella so- cietà ormai non pensavo più da anni. Dopo essere stato respinto all’aeroporto, venerdì sera, ho poi dovuto aspettare lunedì per cominciare a muovermi insieme a un amico avvocato che parla italiano, e ho scoperto cos’è successo». Il legale lo ha rassicurat­o: la questione potrà essere chiarita in qualche settimana, ma bisognerà passare attraverso «cinque diversi livelli». «Mi dicono che posso essere ottimista, non sono in stato di arresto e non mi hanno ritirato il passaporto. Ma per chiarire la vicenda serviranno comunque diverse settimane, durante le quali io sono bloccato in Cina. Per questo mi sento come se fossi comunque in prigione».

L’azienda Tra il 1998 e il 2010 l’imprendito­re è stato titolare di una ditta d’abbigliame­nto

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Oriente Valentino Sonzogni nel corso di uno dei suoi numerosi viaggi effettuati negli anni fra Cina e Giappone

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