Pandini dinasty in tribunale I dubbi sul ruolo di Giorgio
Il fratello che chiede i danni. I giudici: «Era consigliere, posizione da valutare»
L’accusa è troppo indeterminata e il collegio di giudici rimette gli atti alla Procura sullo scontro tra i fratelli Pandini. Ma nell’ordinanza si specifica che la presunta parte offesa, Giorgio Pandini ( foto), era nel Cda e poteva avere un ruolo di garanzia.
Tre fratelli, due sotto accusa e uno che li accusa. Dell’impresa che Giovanni Pandini aveva fondato nel 1957, ora in liquidazione, è rimasta una guerra giudiziaria, dichiarata dal figlio minore Giorgio, 50 anni, che nel 2014 ha denunciato i maggiori Giulio e Guido, 59 e 58 anni, di avergli nascosto il passivo di 12,9 milioni di euro. Al momento c’è una tregua legata a un intoppo. Il processo deve ripartire da zero, dal capo di imputazione che il collegio di giudici presieduto da Antonella Bertoja, chiamato a decidere se ammettere le parti civili, ha rimesso al pm perché «indeterminato».
Un passaggio dell’ordinanza conferma come la faccenda sia complicata, anche se allo stato dipende dall’imputazione che va specificata. Mette in evidenza il ruolo di Giorgio Pandini, che chiede i danni, 541.374 euro ha calcolato il pm Maria Cristina Rota. «Quanto alla parte civile persona fisica, membro del Cda e come tale titolare di una posizione di garanzia, l’indeterminatezza dell’imputazione non consente di valutarne adeguatamente la posizione come danneggiato dai reati in discussione». Traducendo è come dire: ma lui, componente del Cda, dove era? Non è la prima volta che se ne parla. Il gup Federica Gaudino, che nell’ottobre
2016 aveva rinviato a giudizio Giulio e Guido Pandini, aveva respinto la richiesta del terzogenito di costituirsi parte civile. Perché ha avviato già una causa civile a Brescia e perché, rispetto ai sindaci controllori (uno su quattro era stato mandato a processo), non poteva rivalersi su di loro per un mancato controllo che era anche onere suo. A dibattimento ha chiecazioni
sto di nuovo di costituirsi, ma il 29 novembre il collegio ha annullato il decreto che aveva disposto il giudizio. Le contestazioni da specificare meglio sono due. Il mendacio bancario, cioè le notizie o i dati falsi sulla situazione finanziaria della società, che aveva chiesto prestiti, forniti «dolosamente» alle banche. Le false comunicazioni sociali nei bilanci dal 2008 al 2011, «con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico». Come? Indicando fatti falsi o omettendo informazioni. Troppo generico, ha obiettato il collegio. L’imputazione non indica «quali fatti materiali non corrispondenti al vero siano stati esposti e in quali comuni- sociali». Così come non è chiaro se si tratti di dati forniti o omessi. La conseguenza è che «tale formulazione impedisce in radice di comprendere se il danno quantificato in imputazione possa considerarsi causalmente e strettamente dipendente dalla falsificazione». Il danno indicato dal pm è doppio, anche all’impresa, 1.804.582 euro. Secondo i giudici, però, va chiarito. «Se le notizie false — e si ignora quali — fornite agli istituti di credito fossero le stesse di cui al capo B (le false comunicazioni sociali ndr) dovrebbe ritenersi che i falsi in quest’ultimo recepiti siano stati commessi nell’interesse della società, che diverrebbe corresponsabile per le false comunicazioni sociali».
Una versione accomuna tutti e tre i fratelli. Nessuno sapeva del rosso, dicono. I maggiori giurano di averlo scoperto durante la malattia dell’allora ragioniere (denunciato, indagato e archiviato). Giulio era il presidente del cda e Guido consigliere con funzioni di direttore amministrativo. Giorgio, architetto, consigliere di amministrazione, dice di aver seguito più i cantieri che le faccende finanziarie e che non avrebbe avallato nulla se avesse saputo il reale stato dell’impresa.
Le contestazioni Vanno precisati meglio il «mendacio bancario» e le comunicazioni sociali false