Il senso per la storia di Bodini & co.
Una mostra a Gemonio (Varese) riscopre gli artisti del Realismo Esistenziale
Si conoscono sui banchi di Brera, in comune l’arte, l’inquietudine della giovinezza e l’esperienza della guerra: formano un gruppo non organizzato, libero, senza limiti di manifesti. Il nome glielo trova nel 1956 il critico d’arte Marco Valsecchi, recensendone la prima collettiva milanese a San Fedele: sono quelli del Realismo Esistenziale. Cercano un’alternativa, per sfuggire da un lato al Realismo Sociale e dall’altro all’Informale. Leggono Sartre e Camus, rifiutano ogni autoritarismo, disprezzano conformismo politico e valori borghesi: fedeli alla riconoscibilità dell’immagine, mettono al centro dell’opera la realtà filtrata dal soggetto, coniugando riflessione critica e partecipazione al dramma umano. I protagonisti del movimento (Banchieri, Bodini, Ceretti, Ferroni, Guerreschi, Romagnoni, Vaglieri) sono in mostra in questo periodo al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio (Varese) con la rassegna «Politics 1956-1976», a cura di Lorenzo Fiorucci, Chiara Gatti, Ruggero Montrasio e Marco Tonelli ( fino al 24 marzo 2018, via Marsala 11, sab.-dom. ore 10.30-12.30 e 15-18, euro 5/3).
Una trentina di opere scelte con taglio critico deciso: approfondire il rapporto tra il lavoro di questi artisti e i temi socio-politici del presente. «Ciò che li distingue», scrive Chiara Gatti in catalogo, «non è la semplice adesione sentimentale alle tragedie dell’umanità, ma la profonda comprensione storica di ogni evento, il loro essere dentro la storia». Punto di partenza del percorso la tragica scultura «Guerra» di Floriano Bodini, anno 1956. Proprio riguardo a Bodini, la mostra è diventata l’occasione per interrogarsi su un mistero: il fratello dello scultore, Arturo, ricorda la sua opera più celebre, quel «Paolo VI» in legno, anno 1968, che suscitò l’entusiasmo di Dino Buzzati sulle pagine del «Corriere». E al contempo si chiede dove sia finita: esposta ai Musei Vaticani, la grande statua è sparita dall’allestimento stabile 10 anni fa per un restauro e non vi ha più fatto ritorno. È un Montini uomo, intimo, scavato, non agiografico o celebrativo. Un’opera straordinaria, che merita di essere vista.