La spedizione punitiva decisa dal boss indiano
Gli inquirenti: «La giustizia parallela della comunità chiusa»
L’omicidio di Amandeep Singh (foto), a Palosco, è maturato in una comunità indiana chiusa su cui non è stato facile indagare. L’hanno sottolineato gli inquirenti parlando di «giustizia parallela». Dei tre nuovi fermati, uno è ritenuto «il boss» che veniva chiamato per le spedizioni punitive.
Sono in otto, abbracciati l’uno all’altro su due divani mentre esibiscono asce e lunghi coltelli. Sopra, c’è la scritta «Taigar grup», che in India rievoca gruppi criminali. La foto postata su Facebook riassume molto bene lo scenario in cui è maturato l’omicidio di Amandeep Singh, 22 anni, ucciso con un colpo di pistola sul balcone di casa, a Palosco, il 10 settembre scorso.
I carabinieri di Treviglio e del nucleo investigativo di Bergamo si sono districati tra nomi simili, legami, regole interne di una comunità che hanno definito «ermetica» per arrivare a Sandhu Bhupinderjeet Singh di 29 anni, Hardeep Singh detto «Dipa» di 34 e Varun Kumar di 22, a Gorlago. Li ritengono il «boss» che ha deciso la spedizione punitiva, l’autore materiale del delitto e il custode della pistola calibro 9 corto usata per sparare. Due di loro, più alcuni tra altri 5 indiani indagati (uno ha il divieto di espatrio), sono in quella foto. Con i tre fermi, dopo quelli a settembre di Bakhhsish Singh, 29 anni, di Cavernago, e Amanpreet Singh, 27 anni, di Chiuduno, le indagini sono state completate. Gli indagati potranno dare la loro versione domani, al gip. Allo stato, un ragazzo di 22 anni è morto perché aveva chiesto la restituzione di 500 euro prestati a Bakhhsish e per punizione, dopo l’incendio dell’auto e del motorino del debitore la sera prima della spedizione a casa sua. Futili motivi, contesta il pm Emanuele Marchisio.
Dall’inchiesta emerge un sottobosco di conti regolati con il machete. E, soprattutto, la figura di una sorta di giustiziere a chiamata. Sandhu, temuto nella comunità indiana. «Un boss, così era percepito, che veniva attivato come regolatore di conti quando sorgevano delle contese tra i gruppi — descrive il ruolo il comandante di Treviglio, Davide Onofrio Papasodaro —. Una persona che non lavora e vive di condotte illecite, e a casa della quale era stata organizzata la spedizione punitiva». Kumar è accusato di avere la pistola, risultata rubata al responsabile di un istituto di vigilanza di Venezia. La teneva nella stanza di un amico, accanto alla sua, ma era l’ultimo di una catena di custodi.
Il fatto che nessuno si fosse liberato dell’arma è indicativo della compattezza della comunità e del senso di impunità dei suoi componenti, nonostante i primi due fermi. «È sintomatico dei meccanismi di giustizia parallela che andavano avanti da tempo e che ora speriamo siano stati interrotti — interviene il comandante provinciale dei carabinieri, Paolo Storoni —. Alcuni delitti richiedono tempo per essere risolti. A volte viene chiesta giustizia immediata, ma se la giustizia è frettolosa si rischia di non ricostruire un impianto che consenta di arrivare a una condanna certa».
Anche il pm Marchisio ha elencato la particolarità dell’inchiesta: «Un contesto sociale chiuso, il territorio della Bassa complesso e con una dotazione di uomini risicata, la scarsa collaborazione della rete familiare e amicale della vittima, il numero di persone coinvolte, un delitto maturato nel contesto di una spedizione punitiva in cui individuare chi avesse fatto che cosa non era semplice». Il procuratore Walter Mapelli ha aggiunto un messaggio: «Si è indagato in una comunità chiusa che pensava di agire indisturbata. Non è vero, non ci sono zone franche». È emerso anche lo spaccato delle seconde generazioni. «Hanno modi diversi di vivere dai loro genitori, che si erano ben inseriti in Italia dediti alla pastorizia o all’agri-
Il mandante A casa sua, la sera del delitto, era stato deciso di andare a Palosco a punire il ventiduenne La pistola calibro 9 Trovata nella stanza di uno dei tre fermati, era stata custodita nel tempo da più persone
coltura — è la lettura del comandante Papasodaro —. I figli, in questo caso si sono inseriti in gruppi criminali utilizzando strumenti di intimidazione e assoggettamento». Solo tra giugno e agosto si sono susseguite risse e aggressioni a Chiuduno, Gorlago e Grumello. La stessa vittima, l’8 agosto, era stata ferita ad una mano. Alcol e droga davano la carica. E spesso per incutere paura si citavano i familiari che ancora vivono in India.
È anche vero, però, che quella violenta è solo una piccola parte della comunità indiana, 10.000 persone in Bergamasca, oltre alle 14.000 nel Bresciano, dove gli indagati sconfinavano e avevano collegamenti. Non è un caso che i primi due fermati erano stati rintracciati a Leno, pronti per partire per la Germania. In auto avevano un’ascia, la conferma che fossero pronti a usare le maniere forti e, forse, a difendersi. In questi mesi i carabinieri hanno infatti lavorato in un clima di tensione: non potevano escludere altra violenza, da nessuna delle due parti contrapposte.