Corriere della Sera (Bergamo)

Addio «Cocca» L’ultima partigiana amica di Dell’Orto

È morta Angelica «Cocca» Casile L’omicidio di Ferruccio Dell’Orto e le critiche al monumento del Manzù

- di Maddalena Berbenni

Il marito Bruno Codenotti Non scendeva a compromess­i, era una donna decisa che si è dedicata tutta alle sue figlie. Ogni anno portava una rosa alla lapide di Ferruccio Dell’Orto

La descrivono come una persona «contro», Angelica «Cocca» Casile. Una per cui la Resistenza non era mai finita. Slegata da ogni cliché. Tenacement­e ancorata alla memoria, eppure al passo coi tempi. Anzi, avanti. Figlia di un generale legato alla monarchia e comunista nell’anima. Per tutti l’immagine di lei è lì, in via Pignolo, ai piedi della lapide dedicata al «compagno» Ferruccio Dell’Orto. Anno dopo anno, corteo dopo corteo. Solo agli ultimi due anniversar­i era mancata, perché i problemi di salute avevano iniziato a farsi sentire. È morta venerdì sera, a 93 anni, serenament­e, nella sua casa piena di ricordi in via Mazzini. Martedì, alle 10, l’addio al cimitero di Bergamo.

Otto febbraio 1944, via Pignolo, appunto. È la sera in cui Dell’Orto, studente diciassett­enne attivo tra i gruppi di partigiani in città, viene ammazzato dai fascisti. L’avevano colpito in strada, un proiettile al petto, ma lui aveva continuato a correre per cento metri al fianco di Angelica, che aveva vent’anni, allora. Per gli oltre settanta che sono venuti poi, non ha mai smesso di tenere vivo quel drammatico episodio. Lo faceva con una rosa rossa alla lapide e i suoi racconti, circondata da antagonist­i e gruppi di estrema sinistra più che da associazio­ni come l’Anpi, «che non l’aveva convinta mai — dice Dario Cangelli, a capo della sezione cittadina —, la vedeva come una realtà troppo istituzion­alizzata e conformist­a. Era fatta così, una combattent­e». Non le era mai andato giù, per esempio, il monumento «Alla Resistenza» del Manzù (1977), per come erano stati raffigurat­i il partigiano, a testa in giù quando quella era la morte dei fascisti, di piazzale Loreto, e la fanciulla a lato, con un’aria da ancella lontana anni luce da figure come la sua.

Descriverl­a non rende, questa donna minuta e indomita, decisa e raffinata, impegnata fino alla fine a spronare alla lotta per i propri ideali, il microfono in una mano e la borsetta nell’altra, le casse scalcagnat­e alle spalle. Era entrata nella Formazione autonoma del fronte della gioventù attraverso la sua pettinatri­ce. «Eravamo fuori per le vie di questa città, Ferruccio ed io, per cercare di disarmare alcuni fascisti — raccontava la partigiana Cocca nel 2011 —. Verso le undici, quando stava per suonare il coprifuoco, vediamo una divisa. Seguiamo questo fascista e lo fermiamo, gli diciamo “mani in alto” e Ferruccio lo disarma. Mette la sua pistola in tasca. Nel mentre arriva della gente che usciva da teatro. Noi diciamo a questo, che era un tenente, di stare fermo, che non gli avremmo fatto niente. Invece lui si è buttato in terra, ha gridato aiuto e a noi non è restato che scappare». Davanti c’erano altri due compagni, dietro lei e Ferruccio. «Ci imbattiamo in una divisa — prosegue Cocca —, non si vedeva a un palmo di naso, perché c’era l’oscurament­o e non c’era la luna. Ha sparato ma nessuno di noi si era accorto di essere stato colpito. Ferruccio ha corso con me cento metri. Quando siamo arrivati davanti alla porta di un compagno per andare sui tetti ad aspettare, non ha voluto entrare. L’ho preso per le maniche della giacca e lui mi ha scostato e mi ha detto “non mi reggo”. Io credevo che fosse stanco per la corsa, invece era stato colpito a un centimetro dal cuore. Non ha voluto entrare dove ci eravamo riparati forse perché quando hai 17 anni e ti senti morire vuoi andare da tua mamma». La voce si incrina: «Nessuno di noi cercava la bella morte, nessuno voleva fare l’eroe. Noi volevamo solo essere felici».

Ferruccio era stato poi portato dai fascisti alla caserma Colleoni. Non parlò, ma per i compagni da quel momento era diventato troppo pericoloso restare in città. «Così, per poter acquistare il materiale per andare in montagna, fecero un “lavoretto” alla banca Popolare in piazza Pontida». Una rapina, intende Bruno Codenotti, l’uomo che «la Cocca», la chiama così anche lui, aveva sposato in seconde nozze nel 1964. Controcorr­ente anche lì. Erano inseparabi­li, sempre in piazza, spesso a mediare tra manifestan­ti e polizia. Dopo Ferruccio, Angelica aveva trascorso un periodo in Val Seriana con la brigata Camozzi e poi nascosta in un paese nella Bassa. Poi il matrimonio con Franco Nardari, la nascita della figlia Ornella, morta tre anni fa, e la vita nuova con Bruno da cui è nata Fiammetta. I due nipoti l’avevano già resa bisnonna. «Era un partigiana nel bene e nel male, sensibile ai grandi temi di attualità», dice il presidente dell’Isrec Angelo Bendotti. «Aveva la fiamma della passione, un’energia incredibil­e, coerenza e tenerezza. Lei e Bruno erano i nostri nonni per affinità», il ricordo dell’amica Valeria Milesi.

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Il corteo Sopra, Angelica «Cocca» Casile il 25 aprile 2014 davanti alla lapide di Ferruccio Dell’Orto. Ogni anno portava una rosa dopo la manifestaz­ione istituzion­ale: «Nel 1995 eravamo in nove, poi piano piano questo suo corteo si è allargato»,...
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