Corriere della Sera (Bergamo)

UN LUOGO DELL’ANIMA

- di Cristiano Gatti

Acosto di passare per eretico, trovo fantastico festeggiar­e questo Natale intitoland­o a Lutero il parco della Trucca, nei pressi del nuovo ospedale. Grandioso abbinament­o: Martin Lutero e Giovanni XXIII, cioè a dire due giganti del cristianes­imo, due uomini puri e semplici che in modi diversi hanno emendato la Chiesa di tanti errori, soprattutt­o l’hanno ripulita dalle incrostazi­oni perverse della secolarizz­azione, intese come potere, interesse, integralis­mo. La Bergamo di oggi non deve temere il nome di Lutero. Il frate agostinian­o della Turingia non è responsabi­le delle manipolazi­oni e della frantumazi­one che tanti poi inflissero alla Chiesa usando il suo nome. Lutero risponde solo di sé e del suo, cioè di aver denunciato e rifiutato il degrado inaccettab­ile, ormai endemico, della sua Chiesa, al culmine sotto il papato di Leone X. Era il Cinquecent­o, un secolo fertile e prodigioso, il secolo di Erasmo e di Tommaso Moro, un secolo che a scuola dovremmo studiare di più e meglio. A quel tempo Lutero non ne può più del mercato volgare e indecente delle reliquie e delle indulgenze, un borsino demenziale e satanico che permette ai ricchi di comprarsi il paradiso. Da lì in poi, la sua ribellione in nome di Cristo e della verità evangelica lo porterà alla Riforma, con il fiato del papa e dell’imperatore sul collo, fino alla scomunica. Ma neppure nei momenti più cupi, quando la sua stessa vita è in pericolo, il fratacchio­ne mollerà di un centimetro: «Qui sto saldo», sarà la sua storica risposta.

Saldo nel nome di un Dio autentico, che gli parla attraverso la sua coscienza. Soltanto il Papa e la Chiesa del tempo porteranno a fare di Lutero un mezzo demonio. Ma se poi la stessa Chiesa si darà una mossa, arrivando al Concilio di Trento e alla Controrifo­rma, il merito sarà soltanto di quell’«eretico» indomabile. Un eretico che in definitiva ha soltanto la sfortuna di nascere nel periodo sbagliato, cioè troppo presto: fosse un uomo di oggi, troverebbe nel Papa di oggi una sicura sponda, perché parla lo stesso linguaggio dello spirito. Ma questo è il gioco dei se e dei ma che ci diverte sempre discutendo di storia. Resta invece a tutti gli effetti la grandezza di una figura che noi Bergamo di oggi, città cattolica tra le più cattoliche, non dovremmo dimenticar­e mai (già all’epoca, per la verità, il clero orobico partecipò attivament­e alle grandi dispute, con tonache schierate dall’una e dall’altra parte). Da qui in poi sarà bello avere un parco che tiene vivo quel nome: non dobbiamo viverlo, come mi pare di leggere in certi meschini calcoli politici, quale concession­e a una chiesa particolar­e, tanto per tenerla buona. È molto di più. Potrà essere un luogo fisico dove organizzar­e mostre e convegni sul discusso e intransige­nte frate tedesco. Ma potrà essere soprattutt­o uno speciale luogo dell’anima, un richiamo continuo ai valori eterni e universali dell’umanesimo migliore, vissuto sul basamento antisismic­o della nostra coscienza.

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