FREDDEZZA DA LEADER
Qualcosa accomuna i tre candidati a governare la Lombardia. La campagna elettorale di Roberto Maroni, Giorgio Gori e Dario Violi corre parallela a quella dei rispettivi leader nazionali con pochi punti di contatto. Non è una novità la freddezza tra il governatore lombardo e Matteo Salvini, che ha cambiato il partito, fino a dimezzarne il nome, fondato dalla generazione di Maroni. Tanto che le liste — e la giunta, in caso di vittoria del centrodestra — potrebbero trasformarsi in una sorta di riserva indiana per i non salviniani (a partire magari dal bergamasco Giacomo Stucchi). Gori, da parte sua, ha visto ribaltarsi il rapporto con Matteo Renzi: se un tempo l’ex manager stava nella scia del rottamatore, quando a livello nazionale i consensi del Pd sono calati, è stato Renzi ad aver più volte cercato Gori come riferimento, per condividerne l’immagine di sindaco di successo. E nel primo mese di campagna elettorale, su e giù dalle montagne e nelle pianure lombarde, il cavallo di battaglia di Gori non è certo stato il governo pd a Roma degli ultimi anni. Violi e Di Maio invece girano spesso insieme, fanno incontri di ogni tipo, dai piccoli imprenditori ai vertici del terzo aeroporto italiano. Il candidato premier grillino sembra però poco interessato a fare da sponda per il suo omologo lombardo. Anche la diffidenza di Di Maio verso i giornalisti, lasciati inutilmente ad attenderlo ieri ad Orio, li separa. Forse anche perché Violi negli anni si è dimostrato molto meno talentuoso del suo leader in fatto di gaffe.