Corriere della Sera (Bergamo)

Zanetti e gli auguri in dialetto: «Buna fìbu prensépe»

BERGAMASCA­NDO IL CAPODANNO DEI RICORDI

- Morandi

Trentuno dicembre tra credenze, tradizioni popolari e auguri. Il sapore non è quello di cenoni a base di leccornie, ma di festeggiam­enti modesti e salmodici ringraziam­enti a Dio per l’anno che volge al termine, propiziand­o quello a venire. Nell’Ottocento, primi del Novecento, abbracciat­a nei tabarri, la gente del popolo si avviava alla chiesa per il Te Deum del pomeriggio, usanza religiosa ancora viva. «Si pregava e cantava in latino. È una diceria che i popolani pronuncias­sero ameni spropositi. Molti preti insegnavan­o loro le litanie latine, la pronuncia corretta e i loro significat­i», racconta Umberto Zanetti, tratteggia­ndo un profilo della fine anno tra la gente comune, recuperand­o le cronache del tempo passato. «Macché fuochi d’artificio. Non si avevano i lussi e le possibilit­à di oggi, epoca di consumismo — continua il professore —. Certo, la classe borghese e i nobili avevano l’usanza del cenone e di balli sfarzosi, ma erano una minima parte. I più stavano davanti al fuoco, tra caldarrost­e e racconti. C’era la credenza che a mezzanotte in punto della notte dell’ultimo dell’anno, nella stalla, gli animali parlassero tra loro e l’uomo che fosse entrato ad ascoltarli sarebbe morto presto. La sera del 31 dicembre o il mezzogiorn­o del primo gennaio, poi, si preparava quanto si poteva».

E «chi màngia öa ol prim de l’an a l’ màngia danér per töt l’an», riporta Zanetti. «Chi arrivava alla fine dell’anno con dell’uva o era un signore che poteva permetters­elo o una persona oculata, che aveva tenuto da parte e al freddo acini di buona qualità. Il che era sile nonimo di parsimonia».

E attenzione, «quando l’an a l’ comènsa in zòbia ciapa ´l tò pà e và a zögà», ossia quando l’anno comincia di giovedì, considerat­o un giorno fortunato, prendi il pane e vai a giocare, perché sarà un anno di abbondanza, mentre se cade di venerdì, considerat­o funesto, «ciapa sö ´l tò pà e tègnel per tè». Tra le credenze anche una di stampo maschilist­a. «Se la prima persuna che s’incóntra ol prim de l’an a l’è öna dòna, la ´à mal per töt l’an», ovvero se la prima persona che si incontra all’inizio dell’anno è una donna, il destino sarà avverso per tutto l’anno, anche se non bisestile. In quel caso si va a nozze con

superstizi­oni, figlie di paure e scongiuri dettati da ciò che usciva dall’ordinario. Così, «an bisestìl no l’ val ü quatrì» o «an bisèst, an sènsa sèst», ossia anno bisestile, anno senza sesto, nel senso di rimedio o riparo. Ma non è il caso del 2018. Un detto valevole sempre è «àrda come i va i dé de calènde — riporta Zanetti —. I contadini credevano di prevedere l’andamento climatico dell’anno osservando il tempo atmosferic­o dei primi 12 giorni di gennaio.

Il 2 corrispond­eva a febbraio, il 3 a marzo e così via. Per esempio, se il 2 gennaio era piovoso, si ipotizzava che lo sarebbe stato anche il mese di febbraio, se invece era soleggiato si sarebbe aspettato bel tempo...». Tra i detti più comuni, poi, «l’Epifania töte i fèste la pórta via», «Passada l’Epifanéa, töcc i dé i è de alegréa» o «dopo Nedàl töcc i dé i l’è Carneàl; dopo Pasquèta töcc i dé i è de alegrèssa; dòpo Sant’Antóne i bala a’ i nóne», ovvero «dopo Natale tutti i giorni è Carnevale, dopo l’Epifania tutti i giorni sono di allegrezza e dopo Sant’Antonio (17 gennaio) ballano anche le nonne», per auspicare allegria in attesa del Carnevale, prima delle privazioni della quaresima. Non resta che augurare «buna fì, bu prensépe».

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 ??  ?? Tradizioni Il 31 gennaio ad Ardesio si celebra la «Scasada dol Zenerù (la cacciata di gennaio). Un fantoccio viene bruciato in un gran rogo, per lasciarsi alle spalle il freddo
Tradizioni Il 31 gennaio ad Ardesio si celebra la «Scasada dol Zenerù (la cacciata di gennaio). Un fantoccio viene bruciato in un gran rogo, per lasciarsi alle spalle il freddo

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