Gli schiavi della gomma a 50 centesimi
Nove donne, fra cui un’italiana, per una ditta indiana di Credaro
Nell’azienda gli operai sono regolari, ma il lavoro minore era affidato a un circuito di nove donne, in nero, nelle loro abitazioni. La paga per mille pezzi poteva essere un euro, un guadagno medio di 50 centesimi all’ora, 25o al mese. Una è italiana, 52 anni, di Sarnico, le altre sono straniere. Così come stranieri, indiani, sono i titolari della ditta di Credaro che dava loro da pulire le guarnizioni dai rimasugli della lavorazione. I finanzieri di Sarnico hanno sanzionato i titolari: 27 mila euro più i lavoratori in nero da sistemare e i contributi da versare. Non è il solo caso nel distretto della gomma del Sebino. La Finanza aveva già scoperto un precedente ad agosto. Dopo quell’operazione hanno ricevuto un’altra segnalazione e si sono appostati per seguire i furgoni per la consegna dei pezzi da lavorare.
Arrivavano gli scatoloni pieni di guarnizioni con la disposizione: vanno sistemati in tre giorni, la paga è di un euro ogni mille pezzi. E si mettevano all’opera, coinvolgendo anche i figli e i parenti pur di fare in tempo e portare a casa la paga da fame di 250 euro al mese, 50 centesimi per ogni ora di lavoro. Nel «distretto della gomma» del Sebino troppo spesso funziona così: dietro gli ottomila dipendenti di aziende in regola che lavorano con le multinazionali e fatturano 2 miliardi e 200 milioni di euro l’anno, brulica un sottobosco di nero e di sfruttamento. I finanzieri della Brigata di Sarnico lo avevano scoperto lo scorso agosto, quando avevano trovato 26 lavoratori irregolari, fra i quali 18 che lavoravano da casa 12 ore al giorno per 400 euro al mese. E ne hanno avuto conferma con un nuovo caso, scoperto in questi giorni, «a dimostrazione — dicono i finanzieri — che non si tratta di un caso isolato come sostiene l’associazione del settore».
Le indagini sono partite da un esposto arrivato dopo l’operazione di agosto: un abitante della zona parlava di un migliaio di famiglie impegnate a casa nel lavoro di sbavatura, cioè della pulitura delle guarnizioni di gomma dei rimasugli della lavorazione. Non tutte in nero, ma molte sì. Il cittadino allegava anche foto di furgoni che portavano pacchi di guarnizioni nei condomini, e balconi e cortili pieni di sacchi e scatoloni.
Nel settore la catena va dai produttori ai terzisti, alle aziende satellite che si occupano di cernita e sbavatura, e che a volte si rivolgono all’ultimo anello: chi svolge il lavoro a casa per quattro soldi. A ogni passaggio i margini di guadagno si riducono, si aprono spazi all’irregolarità e si spalanca lo sfruttamento. I pedinamenti e gli appostamenti dei finanzieri si sono concentrati su un’azienda satellite, in via Garibaldi a Credaro, gestita da una coppia indiana. Seguendo i furgoni del marito della titolare si è arrivati a chi riceveva gli scatoloni con la merce da lavorare a casa. Erano nove donne: un’italiana di 52 anni di Sarnico che aveva iniziato il 15 novembre lavorando in nero 17 giorni su 22. Poi una marocchina, una L’inchiesta Il problema è stato al centro di un approfondimento del nostro giornale in settembre senegalese, due albanesi e cinque indiane (fra cui una di 69 anni con 114 giorni di lavoro nero in cinque mesi). Operavano nelle loro abitazioni di Adrara San Rocco, Villongo e Castelli Calepio e venivano pagate in base al numero di pezzi lavorati guadagnano un massimo di 250 euro al mese. In alcuni casi la paga è risultata di un euro ogni mille pezzi lavorati, per i quali potevano essere necessarie anche due ore, con un guadagno medio di 50 centesimi l’ora. I lavoratori trovati in azienda all’arrivo dei finanzieri erano invece in regola.
Dopo i tre mesi di pedinamenti e controlli sono seguite tre settimane di verifiche e interrogatori. Infine, nei confronti della titolare (che non è stato possibile rintracciare) sono state stabilite sanzioni per 27 mila euro, con l’obbligo di regolarizzare i lavoratori per l’intero periodo in nero e il pagamento dei contributi evasi.
Il compito Per ripulire i rimasugli di gomma era previsto il compenso di un euro per ogni mille pezzi