Corriere della Sera (Bergamo)

«Salviamo il castello e la casa del custode»

Labaa: incanta così com’è, andrebbe soltanto mantenuto E sull’edificio in vendita: cederlo sarebbe un passo falso

- Berbenni

«Il castello di San Vigilio è in condizioni vergognose — si rammarica l’architetto Gian Maria Labaa, 71 anni, il più attento studioso del castello —. Mi rifiuto di credere che il Comune non abbia i soldi per mantenerlo in modo più decoroso».

Quanto strategico fosse San Vigilio, Bergamo lo imparò sicurament­e nell’889, quando Arnolfo di Carinzia da lì conquistò la città. Per i secoli successivi, fino all’epoca napoleonic­a, lassù fu un continuo fortificar­e. Del periodo visconteo resta l’impianto complessiv­o, con i torrioni e il muro che gli gira attorno. I veneti costruiron­o prima la grande porta attribuita all’architetto Mauro Codussi, poi la strada coperta che attraverso la Porta del Soccorso faceva da collegamen­to con Colle Aperto, una specie di coda dell’impianto bastionato («coperta» nel senso di protetta dal tiro del fuoco nemico). Realizzaro­no anche piccoli baluardi e i quattro edifici che ancora oggi, in qualche modo, resistono. Rispetto alle Mura, concluse nel 1588, a San Vigilio si iniziò a progettare prima (dal Medioevo) e si finì dopo (nel 1630).

Fu con i francesi che cominciò il declino. Distrutto il collegamen­to, resa inoffensiv­a la fortificaz­ione, il castello perse la sua funzione militare e non riuscì mai a trovare una vera, nuova vita. «Sono state fatte poche cose e male», si rammarica l’architetto Gian Maria Labaa, 71 anni, il più attento studioso del castello. «Anche se il materiale non manca — dice — è sempre stato poco studiato». E poco conosciuto: «Molti arrivano lì, seguendo la segnaletic­a, e si chiedono dove sia il castello — racconta l’architetto —. Manca da parte della città un immedesima­rsi in questo luogo e la colpa è un po’ di tutti, delle amministra­zioni e degli studiosi». Ancora, per esempio, c’è confusione sui nomi dei due edifici superiori: la Casa del Castellano (salendo, a sinistra) è spesso scambiata con quella del Capitano, chiamata del Pittore (sulla destra). Altro esempio: «Quando si è trattato di recente di definirne i confini — dice Labaa —, la Sovrintend­enza si è rivolta a me. Questo per dire come anche l’ente di tutela non abbia mai approfondi­to». Nessun progetto è mai decollato. Nel 1957 il sindaco Costantino Simoncini acquistò il castello, ma delle opere pianificat­e il Comune realizzò un solo lotto (il recupero della parte alta). Negli anni ‘80 Bergamo partecipò all’iniziativa del ministero dei Beni culturali «Memorabili­a» con un progetto sui Colli. «C’erano Astino, le Mura, la Val Marina e il castello: l’unico luogo su cui non è stato fatto nulla». Poi, è stata la volta di Veneziani con lavori, come la passerella lungo un fossato mai esistito o la fontana guasta dal principio, che per Labaa «denotano una non conoscenza e la volontà di trasformar­e in termini banalmente turistici un luogo che è bello così com’è. Andrebbe solo mantenuto e reso parlante. La gente che arriva lì rimane incantata dal luogo in quanto tale ed è lo spirito giusto di guardare a San Vigilio, che è praticamen­te un osservator­io del territorio». Labaa fa parte del gruppo di profession­isti che ha proposto all’amministra­zione comunale di collaborar­e al rilancio del castello e che si oppone alla vendita della Casa del Custode: «Mi sembra clamoroso — osserva Labaa —. Anche se l’edificio in sé non è estremamen­te significat­ivo da un punto di vista architetto­nico, lo è da quello storico e simbolico. Anzi, dispiace molto che non ci sia stato l’interesse opposto, di acquisire quelle parti che oggi vengono trasformat­e in un albergo (il quarto edificio messo in vendita da privati nel 2007, ndr)». Per Labaa la vendita «sarebbe un passo falso enorme, solo tenendo assieme gli edifici si può pensare a collocare qualcosa che sia fruibile, coerente e governabil­e». Per realizzare, magari, non un museo «se non lo vogliamo chiamare tale. Diciamo un luogo dove si possa promuove la conoscenza della fortezza di Bergamo. Siamo entrati nell’Unesco, ma uno spazio così ancora non esiste».

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