Corriere della Sera (Bergamo)

Bossetti e Bertola, la (difficile) sfida in Cassazione

- (g.u.)

«La violenza non è nella mia indole, non ho mai fatto male a nessuno». E, ancora: «Sarei un pazzo a chiedere la perizia del Dna, se avessi ucciso Yara». Massimo Bossetti ha sempre negato di essere l’assassino che due Corti d’Assise hanno condannato all’ergastolo, per l’omicidio di Yara Gambirasio. «Non mi hanno creduto», aveva scritto la notte insonne dopo la sentenza d’Appello. Il 2018 (l’udienza entro l’estate), la Corte d’Assise stabilirà se la decisione non fa una piega, oppure se nella sentenza delle pieghe ci sono. Potranno essere solo questioni di corretta interpreta­zione del diritto. Non si tornerà a parlare nel merito di quel Dna che è stato l’asse portante del processo; della perizia negata, però, probabilme­nte sì. Il Dna del carpentier­e di Mapello era sui

leggins e sugli slip della tredicenne di Brembate Sopra, hanno stabilito due tribunali. Non hanno sortito effetto le arringhe degli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini che lo difendono: kit scaduti, contaminaz­ione, analisi sbagliate. Anzi, i giudici di secondo grado hanno dato maggiore importanza di quelli di Bergamo al furgone ripreso dalle telecamere attorno alla palestra da cui Yara sparì: è identico a quello dell’imputato. Quest’anno, la Suprema Corte deciderà anche di un altro delitto. Quello di Roberto Puppo, di Osio Sotto, nel novembre 2010 in Brasile. Un altro ergastolo, confermato in appello per l’architetto di Verdellino Fabio Bertola

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