Rapina con sequestro in un’azienda di Como Scattano tre arresti
Sparirono 180 biciclette nuove, blitz a Filago e Terno
In azione Padre, figlio e complici a volto scoperto. Incastrati dall’incrocio con un’altra rapina
Si erano mossi con un po’ troppa spavalderia, seguendo anche una vecchia usanza da rapinatori: quado si va in trasferta, a colpire in un territorio diverso da quello in cui si vive, si può anche evitare di coprirsi il volto. Ed è andata male, malissimo, per Matteo De Giglio, 57 anni, di Terno d’Isola, il figlio Marco, 29 anni, i complici Gesualdo Cusumano, 63 anni, di Filago, e Antonio Leprinetti, 46, di Milano: tutti in carcere, su ordinanza del gip di Como, con l’accusa di concorso in rapina aggravata e sequestro di persona. Perché erano loro, secondo il pm e i carabinieri di Cantù, i banditi in azione il 21 luglio, nel primo pomeriggio, nel capannone di una società di logistica di Mozzate utilizzato dalla Specialized Italia come deposito di biciclette nuove, da commercializzare.
Quel giorno i rapinatori avevano atteso l’arrivo al capannone di un tir rosso della Gecotras (ex Bartolini), guidato da un autista ucraino. Poi erano entrati, armati di pistola, in tre: i De Giglio e Leprinetti, mentre Cusumano faceva da palo fuori dal capannone. L’autista e cinque dipendenti, minacciati con le pistole, erano stati costretti a sedersi in un angolo del capannone, controllati a vista. A un operaio, invece, i banditi avevano intimato di caricare sul tir, arrivato vuoto, le biciclette presenti nel deposito: nell’autoarticolato, dopo circa 40 minuti di lavoro, ne erano finite 180, ancora imballate, per un valore di 208 mila euro.
Uno dei tre rapinatori era poi salito sul tir, costringendo l’autista ucraino a mettersi alla guida, e restando con lui, nell’abitacolo, fino alle 18.45, circa 4 ore dopo il colpo, quando il mezzo pesante era stato svuotato a Melegnano (Milano). I complici erano invece rimasti all’interno del deposito di Mozzate per circa un quarto d’ora, dopo la partenza del camion, per consentirne l’allontanamento in sicurezza e impedire che i dipendenti dell’azienda di logistica, una volta liberi, lanciassero l’allarme. Un colpo ben studiato, in apparenza. Salvo quei volti scoperti e un’utenza telefonica sospetta che aveva agganciato la cella della zona almeno un paio di volte durante la rapina: un contatto che aveva consentito ai carabinieri di Cantù di mettersi sulle tracce di Leprinetti. Fino alla svolta, 10 giorni dopo: il 31 luglio i carabinieri di Opera (Milano) hanno infatti arrestato padre e figlio, Matteo e Marco De Giglio, dopo la rapina di un autocarro pieno di prodotti alimentari caricati in un’azienda di Como. E il confronto è stato immediato: tutti i dipendenti del deposito di Mozzate e l’autista ucraino costretto a trasportare le biciclette, hanno riconosciuto i due. E un riscontro ulteriore è arrivato dalle telecamere del capannone in cui era andata in scena la rapina con il sequestro dei lavoratori. Ma le indagini sono poi proseguite, per identificare tutti i componenti della banda, anche con il supporto dei carabinieri di Treviglio: Leprinetti, grazie ai tabulati telefonici, è risultato spesso in contatto con i due complici e anche lui è stato riconosciuto nei filmati di videosorveglianza del deposito di Mozzate. Quarto, e ultimo, il palo del gruppo: anche su Gesualdo Cusumano sono arrivati indizi, che l’accusa ritiene sufficienti, tramite le utenze telefoniche. Lui e Leprinetti sono stati arrestati ieri. Per i De Giglio, di casa a Filago, la notifica della nuova ordinanza di custodia cautelare, è arrivata in carcere, a San Vittore.