Corriere della Sera (Bergamo)

La villa sequestrat­a dalla parte civile

Caso Maxwork Ci vive (ai domiciliar­i) Sapia

- Ubbiali

L’ex presidente di Maxwork, Placido Sapia, vive in affitto (ai domiciliar­i) nella villa che ha venduto a un’immobiliar­e. Ma ora la parte civile, cioè il fallimento della società, ha ottenuto il sequestro di questa casa, di altre due, a Castione e a Moggio (Lecco), e di una Mercedes. La difesa ha presentato il ricorso al riesame e ha calato la carta di un fondo in cui uno degli immobili sarebbe blindato.

Il fallimento Ha ottenuto i sigilli su case e auto ai fini del risarcimen­to e per pagare i creditori

Tecnologic­a, bianca, di pregio, a Gorle. La Procura aveva rinunciato a sequestrar­e la villa di Placido Ilario Sapia, il presidente della Maxwork poi condannato a 4 anni e 10 mesi per il crac della società di lavoro interinale. Aveva avuto il sospetto ma non il riscontro di una vendita fittizia per sottrarre la casa di via IV novembre a eventuali provvedime­nti. Dove la Procura ha fatto un passo indietro (giustament­e, senza elementi), la parte civile, che poi è il fallimento della stessa Maxwork, ne ha mosso uno in avanti.

Ha ottenuto il sequestro conservati­vo della villa e su altri beni di Sapia, per assicurars­i che, dove non arrivano i conti, arrivi il valore delle case e delle automobili a ripagare il danno, quindi la massa dei creditori. Anche l’abitazione di Castione della Presolana, un’altra a Moggio (Lecco) e una Mercedes. Sapia si è opposto al sequestro. Ieri l’udienza al tribunale del riesame delle misure reali. Da una parte per lui gli avvocati Andrea Pezzotta e Luigi Villa, dall’altra l’avvocato di parte civile Daniele Loglio e il pubblico ministero Cristina Rota che ha coordinato l’inchiesta finita in primo grado con condanne anche di persone note, come l’ex marito di Valeria Marini, Giovanni Cottone, e l’ex questore di Bergamo Fortunato Finolli.

Sulla villa di Gorle, la questione principale è che non appartiene più a Sapia. La legge, però, consente di «aggredire» i beni anche solo nella disponibil­ità dell’imputato. Nel 2015, poco tempo dopo le prime perquisizi­oni (da qui l’iniziale sospetto della Procura), Sapia l’aveva venduta per 800 mila euro all’immobiliar­e Italfin, controllat­a dai proprietar­i di Italtrans. Lui (ora ai domiciliar­i) e la moglie ci sono rimasti a vivere, pagando un affitto di 7.000 euro al mese. Vendita e locazione sono risultati effettivi, facendo venire meno i presuppost­i del sequestro preventivo. Ma quello conservati­vo segue altre logiche, di tutela della parte civile.

La battaglia più aperta è sull’immobile di Moggio, prima al 50% di Sapia e al 50% della moglie, poi destinatar­ia anche della parte del marito, che gliel’ha donata. Ieri la difesa ha calato la carta a sorpresa del fondo patrimonia­le che la coppia ha aperto nel 2004 e in cui sarebbe confluita l’abitazione. In questo caso, che va documentat­o, non sarebbe sequestrab­ile. Lo sono invece, è la convinzion­e del pm e della parte civile, oltre che del gip, anche l’immobile di Castione benché venduto, e la Mercedes.

Il giudice Donatella Nava deciderà nei prossimi giorni sulla richiesta di dissequest­ro. Poi si riparlerà di Maxwork perché la parte civile ha ottenuto il sequestro di altri beni, di altri condannati, sui quali è logico aspettarsi nuove impugnazio­ni. Alcuni sono già stati congelati dalla Procura, ma il doppione ha senso perché tutela diversi interessi. Quello dello Stato di confiscarl­i, se le condanne diventeran­no definitive. Quello del fallimento di pagare i creditori: il principale è l’Inps, che sempre Stato è, ma sarebbero i curatori a gestire la refusione di contributi mai versati. A parità di esigenze, la seconda prevale sulla prima.

Intanto altri avvocati, Aldo Algani e Mariarosa Cortinovis di Bergamo, si stanno occupando dell’esecuzione dei sequestri in sede civile. Per il momento, l’esito del riesame non interferir­ebbe. Una vittoria di Sapia, cioè, non sospendere­bbe le esecuzioni. Se invece diventasse definitiva, i sigilli perderebbe­ro efficacia.

In sede civile va anche valutato il danno totale di Maxwork. In sede penale, il 30 giugno 2017, il giudice Federica Gaudino aveva condannato a cinque anni di reclusione Cottone, procacciat­ore d’affari della società dal 2014; a sei anni, la pena più alta, Massimilia­no Cavaliere, fondatore di Marxwork ritenuto anche l’amministra­tore di fatto, a tre anni e otto mesi sua moglie Paola Stucchi. E, ancora, a 4 anni e mezzo la responsabi­le amministra­tiva Giuliana Mila Tassari e a 5 anni l’ex ad Gianpiero Silan. Aveva inoltre disposto provvision­ali per 10 milioni di euro ai curatori del fallimento da parte di Cottone, Sapia, Silan, Stucchi e Cavaliere. Altri 10 milioni all’Inps a carico di Sapia, Stucchi, Silan e Cavaliere, 300 mila euro da parte di Tassari e 100 mila euro da parte di Cottone.

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 ??  ?? Case e vip Giovanni Cottone (foto), ex marito di Valeria Marini, è tra i nomi più in vista tra i condannati (primo grado) per il crac di Maxwork. Sono stati sequestrat­i diversi beni, come la villa (sopra) di Gorle dove vive l’ex presidente Placido Sapia
Case e vip Giovanni Cottone (foto), ex marito di Valeria Marini, è tra i nomi più in vista tra i condannati (primo grado) per il crac di Maxwork. Sono stati sequestrat­i diversi beni, come la villa (sopra) di Gorle dove vive l’ex presidente Placido Sapia

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