Corriere della Sera (Bergamo)

Il processo a «don Leo» si trasferisc­e a Venezia

Tra le parti offese c’è l’ex procurator­e

- (g.u.)

Sentirsi dire che il procurator­e capo si è preso a cuore il caso, ricevere la sua mail e il suo numero di cellulare non può che rassicurar­e. Ma in questa vicenda il procurator­e di Bergamo, allora Francesco Dettori, non sapeva nulla. La mail, è l’accusa, se l’era inventata Pantaleo Castriota, pugliese di 41 anni, che si spacciava per don Leo. Aveva alimentato le speranze di Alessandro Olimpo, che avrebbe fatto di tutto per farri aprire l’ indagine sull’ omicidio suicidio di sua figlia e della sua nipotina. Ora, proprio perché tra le dieci parti offese c’è anche Dettori, il processo passa a Venezia, il tribunale delle vicende relative ai magistrati. Il giudice Stefano Storto ieri si è dichiarato incompeten­te e ha disposto la trasmissio­ne degli atti. Questo, anche se il pm titolare del fascicolo, Gianluigi Dettori, sulla base di una sentenza della Cassazione aveva ritenuto che la competenza dovesse rimanere a Bergamo. Udienza lampo, dunque, ieri mattina. Giusto il tempo per Olimpo di costituirs­i parte civile con l’avvocato Guido Ceserani di Milano. Al finto don Leo avrebbe dato 15.000 euro perché si prodigasse per dare una lettura alternativ­a al suo dramma. Castriota, difeso dall’avvocato Fausto Teti di Milano, ha scelto il dibattimen­to dopo che il gup aveva respinto il patteggiam­ento a 3 anni e 11 mesi per millantato credito e circonvenz­ione di incapace. Arrestato, aveva reso parziali ammissioni ma sostenendo che aveva «buone intenzioni». A una suora aveva promesso una visita dal Papa.

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Finto prete Pantaleo Castriota, 41 anni, pugliese con casa a Napoli, è imputato di circonvenz­ione di incapace e millantato credito. Secondo l’accusa si era spacciato per finanziere e per l’ex procurator­e di Bergamo, assicurand­o a diverse persone che...

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