Settant’anni da bandito Preso dopo la rapina si racconta in una lettera
«Mai fatto del male». Ma fu condannato per omicidio
Sostiene: «La trasgressione non è reato se si fa per amore». Ma anche: «Mangiare pane a tradimento è trasgredire». Parole e musica di uno che ha trascorso gran parte dei suoi quasi settant’anni in carcere. E al quale piace prendere in mano la penna e raccontarsi, anche dopo essere tornato dietro le sbarre per avere spianato una pistola contro gli impiegati delle Poste di Ponteranica.
È lungo un braccio l’elenco dei precedenti di Vincenzo Santisi, nato 68 anni fa a Nizza di Sicilia (Messina) ma da una vita in Lombardia, fra Cassano, Ospitaletto e Torre Boldone. Vi spicca un omicidio negli anni Ottanta per il quale trascorre in prigione un ventennio abbondante, ma il suo curriculum è costituito soprattutto dalle rapine. Per limitarsi agli ultimi quindici anni, si comincia con un arresto nel 2003. Santisi torna in libertà nel 2006 grazie all’indulto e ne approfitta per trovare un complice (che fa guidare perché a lui non hanno più ridato la patente) e battere la Valcamonica. In dieci mesi i due assaltano sette banche dividendosi 160 mila euro. Sono armati di taglierini e perdono facilmente la pazienza: un cassiere viene sfregiato al volto e un direttore viene preso a sberle. Ma alla fine i carabinieri li arrestano.
Nel 2016 Santisi è in carcere a Bergamo, dove chi lo conosce lo definisce «difficile da trattare: un momento fa la macchietta, il momento dopo è duro come un criminale incallito. Con le iniziative di reinserimento è sempre andata male». Sul giornalino «Spazio» dell’associazione Carcere e Territorio Santisi offre una sua personale visione dei fatti: «Per colpa indiretta sto soffrendo e di male non ne ho fatto a nessuno». Racconta di quando, da bambino, rubò 500 lire alla madre per farsi una scorpacciata di cioccolatini. Si propone: «Quando esco da questa galera, che fa tanto male, andrò a far visita ai miei genitori che purtroppo sono morti». Visto che si trova «frustrato in un postaccio
Evaso dai domiciliari, aveva rapinato 650 euro alle Poste armato di pistola
come il carcere», la sua mente «naviga fuori da ogni logica e ti ritrovi a fare una cosa che altri considerano da non fare». Gli procurano un lavoro esterno ma lo scoprono con un cellulare. Si lamenta: «Un anno e quattro mesi per punizione, senza cercare di capire le mie ragioni». Perché «trasgredire per amore non dovrebbe essere reato».
Morta lo scorso maggio la moglie, Santisi si innamora di una prostituta rumena che, dice, vuole «togliere dalla strada». In novembre la polizia lo nota in auto mentre aspetta la ragazza in via Correnti, e lui si dà alla fuga: è un furioso inseguimento tra semafori rossi bruciati, corsie contromano, lo schianto contro una 500. Lo fermano sparando a una ruota. Condannato a 16 mesi per resistenza, va ai domiciliari. Ma il 13 dicembre si infila un berretto di lana, si procura un revolver a canna lunga e fa irruzione alle Poste di Ponteranica, scappando con 650 euro. La descrizione del bandito fa accendere una lampadina a un carabiniere di Villa d’Almè. I militari vanno da Santisi e gli trovano i vestiti usati nella rapina, il denaro e l’auto (in prestito). Lui prima nega ma infine confessa. E scrive una lettera per raccontare il colpo dal suo punto di vista. «Ma non credo — commenta un carabiniere — se gli sarà d’aiuto».