Camicie su misura Made in Italy Ma la produzione era ungherese
Contestati 37 mila capi prodotti tra il 2011 e il 2016
In cinque anni avrebbe messo sul mercato 37 mila camicie su misura, di alta sartoria, con il marchio Made in Italy. Ma secondo la Guardia di Finanza di Gorizia l’imprenditore bergamasco, indagato per «frode in commercio con segni mendaci», aveva fatto produrre tutti quei capi in Ungheria, da un’azienda che lui stesso ha aperto a 160 chilometri da Budapest. L’indagine è chiusa: era iniziata a marzo del 2016 quando, al confine tra Slovenia e Italia, era stato fermato un furgone con 256 camicie dell’azienda bergamasca a bordo, prodotte però in Ungheria. Con tanto di fatture e altri documenti.
Made in Italy, fatto in Italia: il marchio d’origine dovrebbe già spiegare tutto, letteralmente, sui prodotti che accompagna, senza possibilità di equivoci. Ma secondo la Guardia di Finanza e la procura di Gorizia un imprenditore bergamasco aveva pensato che, tutto sommato, produrre camicie d’alta qualità in Ungheria, in una sua nuova azienda e con manodopera a costi molto più bassi, per poi utilizzare comunque su tutti i capi il marchio italiano d’origine, fosse possibile. E naturalmente conveniente.
Una furbata, in realtà, secondo le Fiamme Gialle e secondo il sostituto procuratore Ilaria Iozzi, che ha chiuso l’inchiesta sull’imprenditore, unico indagato, per frode in commercio tramite la vendita di prodotti industriali con segni mendaci: un reato che, codice penale alla mano, può costare la reclusione fino a due anni e ammende fino a 20 mila euro. Bocche cucite, ieri, sia da parte del pubblico ministero, sia dal comando provinciale di Gorizia, sull’identità dell’imprenditore e sulla sua azienda, «in provincia di Bergamo», finita sotto inchiesta per responsabilità ammi- nistrativa: è la società che secondo l’accusa commissionava all’azienda ungherese, di proprietà dello stesso titolare bergamasco, il 100% del confezionamento delle camicie, dopo averle fornito i tessuti, per poi rivenderle come se si trattasse di prodotti realizzati proprio nello stabilimento orobico.
Costo per il consumatore tra i 90 e i 150 euro al capo, fascia di alta sartoria per camicie fatte su misura. E gli inquirenti non contestano i «segni mendaci» su una singola partita, ma addirittura su 37 mila e 867 camicie prodotte tra il 2011 e il 2016, con un fatturato variabile (riferito ai prodotti sospetti) tra i 3 milioni e 400 mila euro e i 5 milioni e 680 mila.
Un’indagine partita dai controlli di routine della Guardia di Finanza al valico Sant’Andrea, tra Slovenia e Italia. A marzo 2016 le Fiamme Gialle fermano un furgoncino, guidato da un autista ungherese. Con dentro documenti che dicono già molto: c’è ad esempio la fattura per le 256 camicie trasportate, che la società ungherese, con sede a 160 chilometri da Budapest, deve farsi pagare dall’azienda bergamasca. Ci sono documenti di trasporto che non riguardano solo quel viaggio ma anche altri, sempre sull’asse Ungheria-provincia di Bergamo, 900 chilometri in tutto di sola andata.
Insomma, il giro d’affari è alla luce del sole e viene già in parte raccontato dal materiale su quel primo furgoncino, che viene subito sequestrato. Poi l’indagine prosegue. Gli accertamenti sul titolare e legale rappresentante della società bergamasca permettono subito di scoprire che lo stabilimento ungherese è di sua proprietà, una sorta di reparto distaccato dedicato solo alla produzione, che naturalmente costa meno, rispetto all’Italia. Poi nell’azienda orobica scattano le perquisizioni, da cui spuntano fatture, secondo la Guardia di Finanza, che risalgono addirittura al 2011 e che proverebbero le commesse ungheresi da almeno cinque anni. In più, gli investigatori decidono di sentire anche i dipendenti bergamaschi dell’imprenditore: alcuni confermano che la produzione in Ungheria era nota e che i prodotti finivano puntualmente in un negozio gestito dalla società. Ma su quale fosse le bocche a Gorizia restano cucite.