Un sottile filo rosso da Bach a Brahms
Andras Schiff: «Voglio portare aria nuova nei miei concerti, il pubblico deve essere stimolato»
«Mi interessa solo la grande musica; grazie a Dio per pianoforte ce n’è tantissima». Il tono è tra l’aforistico e l’ironico, ma Andras Schiff ha poco da spartire con Oscar Wilde o Woody Allen: il 64enne magiaro è uno dei pianisti più amati e richiesti; a Milano, dove torna stasera per la Società del Quartetto, quasi non si contano ma si ricordano eccome le sue numerose apparizioni. Memorabili i cicli integrali dedicati alle 32 Sonate di Beethoven a quelle di Schubert, a Schumann e Bach, nonché progetti tematici come i sorprendenti confronti tra Bach e Bartók o tra Schumann e Janacek; di recente aveva messo a confronto le ultime sonate di Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert.
«Voglio portare aria nuova nei miei concerti e questo è possibile attraverso una buona scelta dei programmi. Mi dà un enorme piacere scegliere i brani da accostare per un recital, dietro ogni scaletta c’è una lunga riflessione perché non voglio che sia mero intrattenimento: quando i concerti sono superficiali alla fine la gente va via senza aver ascoltato idee nuove e senza essere stata stimolata a pensare». Per questo le scelte di Schiff sono così oculate: «La letteratura per pianoforte ha in sé una tale quantità di tesori che si può scegliere se affrontare un ciclo integrale, se confrontare autori diversi seguendo il fil rouge di uno stesso genere o se essere ancora più fantasiosi nel cercare connessioni tra i compositori e i brani scelti». Proprio quest’ultima opzione è all’origine del programma odierno, primo dei due appuntamenti che Schiff intitola «Intorno a Brahms»; dell’amda burghese affronterà i Klavierstücke op. 76 e le Fantasien op. 116, intervallate dalla Fantasia op. 28 di Mendelssohn, la Sonata n. 24 di Beethoven e la sesta Suite Inglese di Bach. «Ho voluto associare Brahms a tre compositori che lui studiò» e che lo stesso ungherese studia sempre. «Beethoven mi ha migliorato come artista e come uomo. L’op. 78 è scritta in fa diesis maggiore, una tonalità rara e non solo in Beethoven; una tonalità difficile, tanto più se pensiamo a come a quei tempi molti interpreti suonavano a prima vista; non era un’opera per dilettanti ma per pianisti esperti, e così doveva essere Therese von Brunsvik, cui è dedicata l’opera. Non stupisce dunque quanto i biografi riportano: Beethoven stimava questa sonata più di quella “Al chiaro di luna”, oggi ben più celebre e celebrata. Il tema iniziale fluisce intima come una dichiarazione d’amore, la vivacità del Rondò conclusivo sembra anticipare Mendelssohn». Non poteva mancare Bach: Brahms tentò di portare nel tardo romanticismo forme antiche come la fuga e la passacaglia, Schiff lo considera «il centro di tutto: ogni musica che amo è legata a lui. Riuscì a creare un sistema in cui ogni elemento, spirituale, emotivo e fisico, è intimamente connesso».