Messe alla prova in stallo Ora giudici sommersi
Corrente rubata, l’imbuto delle messe alla prova
Due fratelli accusati di furto di corrente per 10.629 euro si sono opposti al decreto penale di condanna al pagamento di 15.000 euro. Chiedono la messa alla prova. È uno dei 16 casi su 33 udienze preliminari. Un’ondata, dopo lo stallo di qualche mese fa per un’interpretazione della Cassazione su chi fosse competente tra il dibattimento e il gup.
Per anni, è l’accusa, l’attività è andata avanti utilizzando energia elettrica (quasi) gratuitamente. Mentre gli impianti della rosticceria, a Bergamo, funzionavano, un magnete bloccava il contatore. Così il consumo risultava inferiore del 97% a quello effettivo: l’Enel ha calcolato 10.629 euro, dal 2012 al 2017.
La procura ha inviato un decreto penale di condanna ai proprietari dell’attività, M.C. e C.C., 36 e 33 anni, messinesi. Due mesi di carcere e 100 euro di multa convertiti in pena pecuniaria sarebbero 15.000 euro a testa. Ma i due fratelli, assistiti dall’avvocato Paola Borghi, si sono opposti al decreto penale firmato dal pm Raffaella Latorraca. Hanno chiesto la messa alla prova, un programma di lavori di pubblica utilità che deve essere approvato dal giudice. È la prassi ma il giudice dell’udienza preliminare Ilaria Sanesi ha rinviato la decisione a maggio, lasciando agli imputati un margine di tempo per risarcire almeno in parte l’Enel. Lavorare per un comune o una onlus, infatti, ripagherebbe la giustizia ma non la parte offesa.
Per qualche mese, un intoppo c’è stato, più in generale, sulle messe alla prova. Lo dimostravano ieri i ruoli dei gup Sanesi e Marina Cavalleri. Su 18 e 15 udienze, 9 e 7 erano per richieste di ammissione al programma alternativo alla condanna al termine del quale, se l’esito è positivo, il reato si estingue. Un’ondata di casi, perché per tre - quattro mesi la materia era rimasta in sospeso a seguito delle sentenze della Cassazione. In passato se n’erano occupati i gup poi, a seguito di un pronunciamento della Suprema Corte, la competenza è passata al dibattimento, che però ha sollevato il caso provocando un’al- tra sentenza in senso opposto. Morale, la palla è tornata al gup. L’interpretazione non è così pacifica e un motivo c’è. La messa alla prova è una sorta di alternativa al processo e lo interrompe.
Il punto è: se il programma non va a buon fine, l’imputato può ancora patteggiare o chiedere il rito abbreviato davanti al gup, oppure va a processo? La prima, pare dall’orientamento. Il tempo non è un dettaglio, perché più scorre più la vita di chi chiede il programma alternativo (sei mesi in media per stilarlo) cambia. Si può cambiare lavoro, per esempio, e dover spiegare al nuovo titolare che servono i permessi per la messa alla prova.