Mister Green, l’essere ebreo e lo scontro tra due solitudini
Uno scontro generazionale, uno scontro tra solitudini sulle assi del Sociale con «Mister Green», commedia dell’americano Jeff Baron. Da venerdì a domenica, alle 21, l’attore Massimo de Francovich, classe 1936, «ho attraversato tutto il teatro italiano, incontrando mostri sacri come Vittorio Gassman, vissuto il momento dello scoppio della regia negli anni 70, lavorato con Ronconi», dice, indosserà i panni di Mr. Green. Vecchio proprietario di lavanderia in pensione, «è un solitario vedovo che dopo la morte della moglie ha chiuso con tutti — racconta l’attore —. È un ebreo che serba un segreto, che si svelerà alla fine. Quest’uomo, mentre cammina a New York, sarà investito da Ross Gardiner. Giovane in carriera, viene accusato di guida pericolosa e condannato dalla giustizia ad assistere Mr. Green una volta alla settimana per sei mesi. Questo farà imbestialire il vecchio, causando scontri violenti. Poi anche il giovane si rivelerà ebreo e questo li unirà. Entrambi hanno un segreto, che emergerà con lo svolgersi della commedia».
In scena si assisterà «a uno scontro generazionale ed etico, in cui la religione ha un peso, soprattutto quando diventa fanatica, come la pratica mr. Green, che ha grande osservanza per il cibo, le bevande, i lutti. Il giovane invece, benché ebreo, non sa nulla della sua tradizione religiosa e dello sterminio — prosegue de Francovich —. È uno scontro tra due solitudini». Per l’attore il testo, con la regia di Piergiorgio Piccoli, è un teatro di parola, una commedia scritta molto bene da Baron, «magari ci fossero dei commediografi italiani così — continua —. Ma purtroppo non abbiamo grandi tradizioni. Abbiamo solo due stelle, che sono ancora Goldoni e Pirandello. Poi scrivere per il teatro è un talento: o c’è o non c’è». Considerando la realtà teatrale italiana d’oggi, De Francovich ripercorre la storia del teatro, richiama i primi anni Ottanta, con la scomparsa di attori come Gassman, Lionello, Salerno, «il cui vuoto non è stato più colmato, si vede che non è il momento. Tornerà». E conclude: «Il teatro è sempre stato in crisi, sin da quando cominciai alla fine degli anni Cinquanta. È una storia che si ripete, ma è un luogo privilegiato».