Corriere della Sera (Bergamo)

Albini, sette pullman e fiori di cotone

L’addio all’imprendito­re: dipendenti in massa e manager della moda dal Giappone

- di Donatella Tiraboschi

Ifiori di cotone nella corona dei dipendenti, i clienti dal mondo, gli industrial­i, qualche politico e gli amici. Diversa la gente tenuta insieme dal ricordo di Silvio Albini attraversa la Corsarola, cercando il Duomo e, insieme, una via d’uscita al dolore. Sette pullman sono partiti dalle aziende del Gruppo. Anche i telai sono fermi, un lutto che svuota le cose, ma tra le navate, tutte le persone della sua vita, sono all’opera.

I fiori di cotone nella corona dei dipendenti, le lacrime delle operaie, i clienti dal mondo, giapponesi e tedeschi che si guardano intorno straniti, i dirigenti del Gruppo, i creativi della moda con i cappottini con il pelo. E poi gli industrial­i, Alberto Bombassei in testa, qualche politico e i sindaci di Bergamo e di Albino, Giorgio Gori e Fabio Terzi. E gli amici che, seppur giunti ad un’altezza della vita in cui la stagione dei funerali si infittisce, sono increduli. Diversa, lontana, la gente tenuta insieme dal ricordo di Silvio Albini attraversa la Corsarola, cercando il Duomo e, insieme, una via d’uscita al dolore.

È il momento dell’addio all’industrial­e, l’imprendito­re lungimiran­te e innovatore, mentre sul sagrato si ricompongo­no le mille tessere dell’esistenza («Ti ricordi quella volta?» dice qualcuno, «Ci eravamo sentiti appena due giorni prima, avevamo in ballo quel progetto…», racconta un altro) e dentro è già strapieno, un’ora prima della cerimonia. Sette pullman sono partiti dalle aziende del Gruppo. Anche i telai sono fermi, un lutto che svuota le cose e le loro funzioni, ma tra le navate, insieme ai canti e alle note dell’organo, in centinaia, tutti indistinta­mente, tutte le persone della sua vita, sono all’opera.

Tessono una trama di riconoscen­za e di affetto che avvolge la bara di legno chiaro. Non si vede, ma si sente questo tessuto pregiato, raro, sincero. Accarezza il ricordo e ricopre le pieghe dell’anima.

Il cuore del cotonifici­o è qui, batte all’impazzata, mentre si dipana una matassa di aggettivi che, messi uno di fila all’altro, finiscono per diventare come quelle piccole fantasie delle cravatte che Silvio Albini amava tanto. Sensibile, pacato, instancabi­le, di grande umanità, buono, generoso, attento, lungimiran­te, intelligen­te, curioso, serio, giusto, onesto. Li sparge a piene mani nell’omelia in Duomo anche don Fabio Zucchelli che, lasciando sullo sfondo i richiami misericord­iosi, mette in primo piano la pienezza dell’uomo, squarciand­o un velo, come una visione: «Silvio sarà tra le braccia della Madonna del Carmine, quella raffigurat­a nella tela che aveva fatto restaurare». In silenzio, perché il bene non fa mai rumore. Eccolo, un altro aggettivo, discreto. Scrivere le cose, pensare e poi dirle fa la differenza. Riesce a trasformar­e il momento più fragile, a farlo diventare prezioso. Ricaccia in gola le lacrime Francesco Giavazzi, cugino di parte materna, che ce la mette tutta per arrivare alla fine di quel foglio, pieno di ricordi personali (le telefonate, la bella casa goduta poco, l’impegno del lavoro).

Mentre si capisce che Andrea Moltrasio ha già trovato un posto nella memoria dove tenere Silvio con sé, in quel mare di Grecia nella luce di certe mattine d’estate ritroverà l’amico di sempre. Un bel funerale. Vien da pensare che Silvio Albini avrebbe partecipat­o volentieri. Che cosa avrebbe detto se la sua sorte fosse toccata ad un suo fratello? Così è Andrea che, inaspettat­amente, ribalta la prospettiv­a. Vincendo il dolore acuto, capovolge tutto. «Silvio, che ho sempre visto come un valido condottier­o, cosa avrebbe detto al mio posto?» chiede. «Ci spronerebb­e: alziamoci e ripartiamo!».

È sicuro, Andrea, che il fratello che lo ha lasciato si trovi nelle cose che ha insegnato, nei suoi pensieri da finire di pensare, nei gesti che in azienda si ripetono ogni giorno. Nella capacità di restare operosi e attenti in suo nome. Silvio è il fiore centrale tra i 1400 fiori, i suoi dipendenti che gli fanno da corolla, da corona. L’ultimo applauso e una carezza sulla bara. È il momento di cominciare daccapo la vita.

La partecipaz­ione Stabilimen­ti fermi. I lavoratori arrivati dalle varie sedi con sette pullman Senza clamore Fece restaurare la tela della Madonna del Carmine. Il prete: ora è tra le sue braccia

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