Corriere della Sera (Bergamo)

MEGLIO SENZA ARMI

- di Cristiano Gatti

Ne vediamo di tutti i colori, ma questa rimane davvero la più nera: due fidanzati di ventun’anni in casa, una pistola, il colpo parte, Alessandra se ne va. Le cronache forzatamen­te macabre specifican­o «colpo in testa», ma in realtà è un colpo al proprio centro dell’intelligen­za, dei sogni, del futuro di una ragazza appena affacciata sulla vita. Tutta Bergamo l’ha pianta, letteralme­nte e idealmente, e chi non l’ha pianta dovrebbe solo porsi qualche domanda su di sé. Si piange chi va e si piange chi resta, la sua famiglia prima di tutto, ma assieme alla famiglia il fidanzato Denis, mutilato dentro, nel pieno dei vent’anni. È una storia enorme, insostenib­ile, e nessuno può permetters­i di stiparla sbrigativa­mente negli scantinati della nostra routine, questo non luogo pieno di roba accatastat­a alla rinfusa, senza un criterio, in cui non si distingue più una cosa dall’altra, la più importante dalla più stupida. Questo fatto, questa morte, è di una specialità unica. Troppo in là, troppo estrema, la soglia del destino. Una morte a 21 anni è già pesantissi­ma per la nostra ridicola capacità di sopportazi­one, una morte a 21 anni in questo modo è un asteroide dritto nel cuore. Vediamo almeno di trattenere qualcosa, il meglio che possiamo per tirare avanti. Il papà e la mamma di Alessandra l’hanno già detto al funerale, si preparano a una seconda vita in cui il dialogo muto e segreto con la loro creatura sarà su un altro livello e in un’altra dimensione, «nell’azzurro del cielo, nel profumo dei fiori».

Quanto a Denis, al posto di Ale si è già preso in casa un altro compagno inseparabi­le, quell’inquilino senza possibilit­à di sfratto che comunement­e chiamiamo rammarico. Il se. Ripetuto all’infinito. Se non avessi tenuto la pistola in casa, se non l’avessi lasciata carica, se non mi fossi messo in testa di fare la guardia giurata e poi entrare nelle forze dell’ordine, se quella sera fossimo usciti, se non fossi mai nato… Non servirà tentare di liberarsen­e. O come propongono i faciloni di dimenticar­e, di superare, di voltare pagina. Con il rammarico e con i suoi se avvelenati è già molto trovare un modo consapevol­e di convivenza, senza che la promiscuit­à diventi schiaccian­te. La prima cosa da fare è accettare il doloroso contratto, sapendo che è a tempo indetermin­ato. Il se è come un diamante: è per sempre. E poi ci siamo noi, che dopo la compassion­e vera potremmo tenerci a memoria qualcosa. Qualcosa di decisivo sulla nostra relazione con le armi. Sono nate per cacciare e per difenderci, ma abbiamo allargato di molto il ventaglio delle opzioni. Siamo al punto che questi arnesi funebri fanno tranquilla­mente parte del nostro arredament­o e della nostra cultura, come il tostapane e il telecomand­o e il tablet. Li abbiamo messi nella cassetta degli attrezzi per aggiustare la vita, come se niente fosse. Ma per quanto il nostro tempo sia riuscito a svilire e a banalizzar­e tutto quanto, la sostanza non cambia: le armi non c’entrano nulla con noi. Almeno con la parte migliore di noi. Dobbiamo tenerle a distanza. Anni luce di distanza, soprattutt­o tra loro e il nostro modo di pensare. Altrimenti è una partita persa. Nella casa di Denis e Alessandra stava prendendo piede il sofisticat­o incantesim­o dell’amore, ma sulle ali dell’imperdonab­ile leggerezza ha vinto uno stupido colpo di pistola.

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