Corriere della Sera (Bergamo)

«Le cooperativ­e non sono banche»

Guerini: la concorrenz­a dei grandi marchi? Andava presa un’altra strada

- di Maddalena Berbenni

«L e cooperativ­e non sono banche, servono maggiori cautele, che in parte l’ultima legge di Stabilità ha introdotto». Lo spiega il presidente di Confcooper­ative Bergamo commentand­o il caso della Legler in crisi con 800 soci prestatori a cui sono stati bloccati risparmi per 9,4 milioni di euro.

Altre coop in provincia fanno prestito sociale, ma nessuna con cifre come quelle di Legler

Bastano i numeri: 107 anni di storia, 153 lavoratori, 15 punti vendita, quasi 2.500 soci. Ottocento di loro hanno investito 9 milioni e 400 mila euro. Non esiste un’altra cooperativ­a di consumo come la Legler, soprattutt­o alla voce «prestito sociale»: non saranno gli 11 miliardi di Coop, ma nessuno ha cifre lontanamen­te paragonabi­li in Bergamasca. Ora il quartier generale di Presezzo annuncia il taglio di 60 dipendenti, la chiusura di 4 negozi e, a fronte di un debito da 16 milioni, la decisione di presentare una richiesta di concordato in bianco con immediato stop dei rimborsi. Il salvataggi­o è possibile, assicura la dirigenza, ma a questo punto il timore delle gran parte dei soci è che il finale sia lo stesso di altre cooperativ­e di prestito fallite in Emilia, Toscana, Friuli. Per capire il grado di tensione: venerdì uno dei soci prestatori si è convinto a lasciare gli uffici di Presezzo solo alle 21, persuaso dai carabinier­i. Voleva i suoi soldi. «L’auspicio è che con il piano di concordato e la dismission­e degli immobili entri liquidità sufficient­e a ripagare tutti». Giuseppe Guerini, una vita nel mondo della cooperazio­ne, è alla guida di Confcooper­ative Bergamo dal 2008, prima come segretario generale, ora come presidente. Partiamo dagli esuberi. Non è possibile immaginare un sistema di solidariet­à da parte di altre cooperativ­e?

«Il territorio è ricco di cooperativ­e di solidariet­à sociale, forse si potrà fare qualche ragionamen­to. Ma le cooperativ­e funzionano come le aziende, non possono farsi carico dei lavoratori».

Voi vi siete già impegnati a sostenere il ricollocam­ento di chi perderà il posto.

«Abbiamo attivato il nostro consorzio per il lavoro. Penso che molto dipenderà anche dalla sensibilit­à dei sindacati. Si cammina su una corda tesa, la fase è delicata. I sindacati avranno tutti i diritti di manifestar­e, ma sappiamo bene che in un contesto di negozi in crisi il pericolo è di rendere la situazione ancora più drammatica».

I soci rischiano i loro soldi: non sono previsti fondi di garanzia? «Questo è uno dei problemi che si è palesato negli ultimi anni dopo casi come quello della coop Costruttor­i dell’Emilia Romagna o della Carnica di Trieste. Il prestito sociale è nato per sostenere l’attività della coop e come formula di credito per i soci. Le cooperativ­e non sono banche, ma col tempo si è finito per scambiarle come tali senza le cautele necessarie. Nell’ultima legge di Stabilità sono stati inseriti sistemi di assicurazi­one del prestito che cominceran­no a strutturar­si nei prossimi anni». Che cosa non ha funzionato, secondo lei, in Legler? «Ha influito la fortissima concorrenz­a: dalle tre grosse aperture nella zona di Presezzo all’Esselunga a due passi dal market di Seriate».

Come si può competere con i colossi della grande distribuzi­one?

«A mio parere, evitando di inseguirli. Va percorsa una strada diversa. Faccio un esempio: la cooperativ­a Famiglie Lavoratori Treviglio ha superato due anni di crisi dovuti all’apertura di un supermerca­to puntando sul biologico, sui gruppi di acquisto solidale, su una proposta alternativ­a. E ha mantenuto il suo spirito cooperativ­o».

Lei sostiene che Legler abbia lasciato troppo in mano agli amministra­tori.

«Ne sono convinto. Anche in altre realtà gli amministra­tori gestiscono le cooperativ­e come aziende ordinarie. Questo può essere positivo perché dà un piglio managerial­e, ma se sei una cooperativ­a il socio deve restare al centro. Va educato, accompagna­to». Quelli di Legler accusano i vertici di poca trasparenz­a.

«Se partecipi alle assemblee, i numeri dei bilanci li vedi. È vero che c’è anche una dimensione affettiva ed è vero che nell’ultima assemblea era stato presentato un piano di impresa che faceva sperare al ritorno dell’utile, ma fare parte di una coop non è come sottoscriv­ere la Fidaty all’Esselunga».

Se, come dice, il socio va educato, non lo si può fare anche per la partecipaz­ione?

«È uno dei temi. La partecipaz­ione va curata, stimolata. I soci devono sentirsi parte di un progetto. L’assemblea è il cuore della vita della cooperativ­a, troppo spesso lo si dimentica».

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Presezzo Il centro direzional­e in parte dovrebbe rientrare tra gli immobili da dismettere

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