L’artista citato da Sgarbi, Nugnes e la rivista «Artepoli»
Grandi quadri riposano adagiati alle pareti, gli uni sopra gli altri. Infiniti pennelli sono puliti e allineati su un piccolo carrello. In un angolo, i bozzetti a matite e pastelli. Lo studio è illuminato da una luce calda mentre l’artista Piero Boni si muove agile e mostra le tele: si susseguono rappresentazioni di pianeti immaginari che sono al tempo stesso familiari e distanti, onirici e concreti. L’opera di Boni ha appena meritato un approfondimento del critico Angel Alonso sulla rivista catalana «Artepoli». Inoltre, Salvo Nugnes l’ha definito «il Salvador Dalì italiano» e Vittorio Sgarbi, all’inizio del suo percorso, ha scritto che quei pianeti sono «misteriosi luoghi dell’anima che le immagini di Boni ci invitano a perlustrare come fossimo investigatori di magiche avventure».
C’è infatti qualcosa di mistico nell’arte di Boni, questo «autodidatta», come si definisce, che ha iniziato a dipingere verso la pensione, dopo aver fatto il notaio per tutta la vita. 82 anni, nato a Senigallia da famiglia bergamasca che era lì per lavoro, da bambino sogna di diventare pittore. Ma poi mette in pausa la passione per la pittura per abbracciare quella per la chitarra e, mentre frequenta l’università, diventa allievo del grande Benvenuto Terzi. «Se non avessi avuto il ricatto del lavoro — dice —, avrei fatto il pittore e il chitarrista. Ma sono stato educato in modo tradizionale: la priorità era laurearsi e trovare un lavoro che garantisse stabilità». E commenta: «Che poi, chissà, c’è un legame tra il lavoro del notaio e l’arte. I padri di Tiziano, Leonardo e Masaccio erano tutti