Un sos per salvare l’Artico
Tre fotoreporter indagano le condizioni estreme di questo lembo di Terra
«Quelle che vedete potrebbero essere le ultime foto dell’Artico». Queste parole provocatorie e insieme drammaticamente verosimili aprono la mostra «Artico, ultima frontiera» che inaugura stasera alla Triennale di Milano (fino al 25 marzo, ingresso libero, viale Alemagna 6). «L’esposizione ha una doppia valenza — spiega Denis Curti curatore insieme a Marina Aliverti —: da una parte sensibilizzare lo spettatore su un tema di cruciale attualità com’è quello del riscaldamento globale, dall’altra presentare immagini autoriali, esteticamente belle». L’idea della mostra, già ospitata a Venezia alla Casa dei Tre Oci, è nata dagli autori stessi, tre maestri della fotografia di reportage. L’islandese Ragnar Axelsson, il danese Carsten Egevang e l’italiano Paolo Solari Bozzi hanno colto in questi scatti la solitudine, il silenzio, le violente bufere di neve, i visi scolpiti dal vento, ma anche la caccia all’orso e alle foche. «Perché — continua Curti — di questo si cibano le popolazioni locali. Spesso l’immagine che abbiamo dell’Artico è basata su luoghi comuni: paesaggi incontaminati, cieli azzurri, bambini dalle gote arrossate. Qui, invece, abbiamo preferito mostrare la realtà così com’è senza edulcorarla».
Le oltre sessanta fotografie esposte, alcune di grandi dimensioni, sono accomunate dall’uso del bianco e nero che costringe chi guarda a compiere un’operazione di astrazione utile per riflettere più profondamente sul messaggio sotteso. A corredo anche tre documentari che mettono in evidenza come il ritiro dei ghiacci sia tanto evidente quanto allarmante. Infine il 27 febbraio, la Triennale ospiterà un summit sul cambiamento climatico cui parteciperanno scienziati, professori, imprenditori e politici. Una delle rare occasioni per Milano di discutere di questi temi resi ancora più attuali dalla decisione di Donald Trump di concedere le autorizzazioni per l’estrazione di greggio e gas al largo delle coste degli Stati Uniti — e dunque anche nel Mar Glaciale Artico — per cinque anni a partire dal 2019.