«Io, condannato per mio figlio senza avere colpe»
«S ono da quasi 41 anni in magistratura, amo il mio lavoro e credo di averlo fatto in totale dedizione»: così scrive al Corriere il Procuratore di Brescia Tommaso Buonanno, il cui figlio è in cella per rapina.
Il dolore di un padre non merita riserbo, anche se egli non c’entra niente con i fatti
Gentile direttore, vincendo la mia naturale ritrosia a parlare di cose che riguardano la mia persona o i miei cari, rispondo al Suo invito per dire cosa penso, non della vicenda giudiziaria di cui devono occuparsi i Giudici nel rispetto della legge.Sono magistrato da circa 41 anni, amo il mio lavoro e credo, senza falsa modestia, di averlo fatto con impegno e totale dedizione, fino ad oggi. Ciò mi consente di avere ancora fiducia nella Giustizia ed in chi l’amministra, con la serietà, il rigore, la riservatezza e la consapevolezza della rilevanza della funzione che esercita. Sono anche, fermamente, convinto che la rilevanza costituzionale della libertà di stampa sia un bene da preservare nell’interesse di tutti, perché è giusto che i cittadini siano informati di ciò che accade intorno a loro e che non vi siano «zone franche» per nessuno, sempre che nell’esercizio del diritto di cronaca siano osservati i limiti della rilevanza, della continenza e del rispetto della dignità delle persone, previsti da norme dell’ordinamento giuridico e anche da quelle deontologiche. Credo che questi limiti, a tutela delle persone sottoposte ad indagini, debbano essere osservati, a maggior ragione, nei confronti di chi non abbia commesso alcun reato e sia, per un caso della sorte, legato da vincoli di parentela con la persona alla quale vengono addebitati fatti di rilevanza penale; non fosse altro per il fatto che esistono norme costituzionali, che tutelano la dignità e la reputazione delle persone di non minore rilevanza rispetto al diritto della libera espressione del pensiero.
Fatta questa premessa rilevo che il mio nome e la mia immagine sono stati offerti all’opinione pubblica, solo per il fatto che sono il padre di uno degli indagati ed esercito le funzioni di Procuratore della Repubblica, a Brescia non a Bergamo, nel cui circondario rientra il territorio di Zogno, ove si è verificato il fatto.
Alla notizia è stata data notevole rilevanza mediatica, facendo costante riferimento al fatto che a compartecipare alla rapina fosse stato il figlio del Procuratore Capo di Brescia, quasi che questa fosse la vera notizia da offrire all’opinione pubblica, alla quale, evidentemente, deve interessare sapere non che sia stato commesso un reato i cui autori siano stati identificati e arrestati, ma il fatto che uno di essi, peraltro incensurato, sia il figlio del Procuratore della Repubblica di un’altra città. Per inciso degli altri due si dice veramente poco, perché uno, essendo scappato non è stato identificato, e l’altro, essendo pregiudicato, non suscita interesse, perché non fa notizia: non ha la sfortuna di avere un padre magistrato! Così Giustizia è fatta e l’opinione pubblica è soddisfatta! Con una sentenza inappellabile (non pronunziata dai Giudici), che, in assenza di processo, condanna immediatamente il figlio, non tanto per aver commesso il fatto ma perché è il figlio del padre, e condanna in modo subdolo, ma ancora più iniquo — il padre perché deve rispondere di quello che viene addebitato al figlio, anche se questi é maggiorenne e con lui non convivente, ma solo in ragione del fatto che egli amministra Giustizia e, perciò, deve risponderne: «a prescindere». Evidentemente il dolore di un padre per quanto accaduto non merita riserbo, anche se egli non c’entra niente; ha fatto sempre il suo dovere e continuerà a farlo anche in futuro.