Banca Popolare: 120 anni di storia nelle foto d’epoca
L’evoluzione della banca attraverso foto d’epoca. Dalle distinte dei versamenti firmate a mano al primo bancomat E intanto nelle nuove filiali arriva il cashless
Ci siamo abituati a considerare i cambiamenti della banca (prima BPB ora UBI) solo da un punto di vista societario. Con questa mostra vogliamo porre l’attenzione sulla sua evoluzione per cogliere le sostanziali differenze con la realtà di oggi Paolo Citterio Coordinatore Fabi per il Gruppo Ubi
Da Galleria Santa Marta a via Camozzi, il passo è breve. Ma percorrere quelle poche centinaia di metri, dopo aver visitato la mostra «Evoluzione di una banca» e la nuova filiale di Ubi Banca, significherà fare un viaggio nel tempo. Come a bordo di una DeLorean bancaria, il ritorno al futuro è servito. In quella che è una delle quattro filiali pilota del nuovo modello organizzativo di Ubi, i ricordi di un certo modo di fare banca e fare il bancario scolorano del tutto. Dai colori tenui delle pareti della filiale inaugurata meno di un mese fa, si ripiomba nel bianco e nero di certe immagini, perché davvero l’impresa di Giovanni Roglio, caravaggino doc ed ex dipendente della Banca Popolare di Bergamo, che ha raccolto e rimesso «in forma» centinaia di vecchi scatti, ha il potere di ridare vita a una dimensione operativa che ormai appartiene alla preistoria.
Come lo scatto di quel cassiere che, dietro una finestrella con un piccolo ripiano davanti, segna a mano la distinta del versamento.
Pettinatissimo e incravattatissimo, immortalato nella locandina dell’evento, è il simbolo del bancario che fu. O ancora, mette quasi tenerezza il primo bancomat installato nella sede di Piazza Vittorio Veneto nei primi Anni Ottanta. Una decina di pulsanti e una funzione essenziale — l’unica prevista, erogare denaro — lo fanno sembrare come un vecchio Commodore davanti a un iPhone X.
Tanto più se rapportato alle potenzialità del «cashless» che si trova all’interno della filiale prototipo.
Nessuna bussola all’ingresso, divanetti, scrivanie aperte e zero casse con tanto di poltroncina per sedersi, e soprattutto, tecnologia d’avanguardia con il «robottone» con cui interfacciarsi in piena comodità per tutta una serie di operazioni (il cosiddetto self banking). Un percorso di digitalizzazione talmente avanzato che, nella vicina saletta riunioni, è perfino possibile collegarsi in video conferenza con personale della banca che opera in un’altra sede. Pochissima carta in giro, sulle scrivanie campeggiano gli iPad dove la firma digitalizzata del cliente sigla ogni operazione.
Nel server di un normalissimo pc oggi ci starebbe tutto quello che era contenuto nello stanzone del centro meccanografico di via Calvi a Bergamo.
Anche in questo caso, un’immagine bellissima è esposta nella mostra: le impiegate con i grembiuloni neri che sugli elaboratori di seconda generazione sovrintendono alla lavorazione delle schede perforate in cui confluiscono le operazioni di tutte le filiali, sotto l’occhio vigile del «capo centro», il capufficio di allora.
Anche in via Camozzi, il direttore Matteo Bianchi sovrintende all’andamento della filiale, dove per agevolare i clienti, soprattutto i meno giovani, si è pensato a una figura di «concierge», che accoglie, indirizza e assiste il correntista nelle varie richieste. «Il nuovo concept — spiega Luca Gotti a capo della macro area territoriale Bergamo e Lombardia Ovest — unisce tradizione e innovazione. La filiale, in una banca come la nostra, è un elemento centrico; deve essere al passo con i tempi, dal punto di vista tecnologico, ma nello stesso tempo deve essere ancora il luogo dove, territorialmente, si intessono i rapporti con la clientela».
Il passato non si dimentica, i luoghi e i mezzi cambiano, ma lo spirito che anima l’istituto deve mantenersi intatto. «Ci siamo abituati a considerare i cambiamenti della banca (prima BPB ora UBI) solo da un punto di vista societario — conclude Paolo Citterio, coordinatore Fabi per il Gruppo Ubi — con questa mostra invece vogliamo porre l’attenzione sui “costumi”, sugli ambienti, sull’organizzazione interna del lavoro e cogliere le sostanziali differenze con la realtà di oggi».