Ubi, la difesa di Massiah: «Nessun patto occulto»
In aula anche il banchiere bresciano Bazoli
In aula, per l’udienza preliminare del caso Ubi, ieri si è presentato anche Giovanni Bazoli. Gli avvocati del banchiere bresciano parleranno però tra qualche settimana. Ieri era il turno del legale dell’amministratore delegato, Victor Massiah: la linea difensiva è che non esistesse alcun patto occulto attorno all’assemblea della banca del 2013. Lo dimostrerebbero proprio le accese discussioni tra amministratori, agli atti dell’inchiesta.
Si è seduto nel primo banco dell’aula della Corte d’Assise affollata di avvocati, trasformata nell’aula dell’udienza preliminare per i vertici di Ubi Banca. Il banchiere Giovanni Bazoli ha ascoltato i difensori, è il loro momento. I suoi, Stefano Lojacono e Guido Alleva, parleranno il 9 marzo. La scaletta è programmata. «Non ho niente da dichiarare», si è limitato a dire lasciando il tribunale in tarda mattinata, nella pausa dell’udienza proseguita fino alle 14. È la prima delle sei a cui presenzia.
Ieri per primo è intervenuto l’avvocato Alberto Alessandri per l’amministratore delegato di Ubi Victor Massiah. L’ad è imputato di entrambe le principali contestazioni: ostacolo alla vigilanza della Consob e della Banca d’Italia e illecita influenza sull’assemblea del 20 aprile 2013. Il difensore di
Secondo la difesa dell’ad, le discussioni accese testimoniano l’assenza di accordi
Massiah ha citato l’incontro del 13 marzo 2013 (cui per altro il suo assistito era assente) a casa del presidente del Consiglio di gestione Franco Polotti con Bazoli, il vice presidente del Consiglio di sorveglianza Mario Cera e i bergamaschi Italo Lucchini (Cdg), il presidente del Consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio e il vice Armando Santus. Ma per sostenere il contrario rispetto alla tesi del pubblico ministero Fabio Pelosi. Cioè che non fu una riunione segreta tra le anime bergamasca e bresciana per decidere, all’esterno, le sorti della banca. Gli incontri informali, è sempre la difesa, avvengono nelle banche così come in altre società. In quello, in particolare, non si decise nemmeno nulla. Anzi, ci fu una discussione molto accesa, secondo la difesa a riprova dell’assenza di un accordo per spartirsi il potere.
Quel patto occulto che contesta la Procura perché tenuto nascosto agli organi di vigilanza. Non così, secondo l’avvocato: tutte le regole di gestione erano note alla Banca d’Italia e, di conseguenza, anche alla Consob per un obbligo di comunicazione. Questo è un nodo importante, perché mentre la Consob si è costituita parte civile la Banca d’Italia non l’ha fatto (potrebbe ancora deciderlo, a un eventuale dibattimento). Si capisce perché. Consob sanzionò con 895.000 euro Ubi e i componenti del Cds per l’omessa vigilanza sulla mancata comunicazione di «informazioni rilevanti» nelle relazioni sulla corporate governance. La corte civile d’Appello ha annullato il provvedimento: «Ubi informò sulle regole», ha ribaltato la lettura. Ora la decisione è nelle mani della Cassazione e, benché civilistica, può indebolire o rafforzare l’accusa penale e, viceversa, la difesa. L’avvocato Alessandri ha anche ricordato la genesi della legge sull’ostacolo alla vigilanza. Era nella commissione per la riforma dei reati societari e aveva espresso perplessità per l’atipicità della previsione normativa, troppo generica. Quanto alle deleghe di voto, ha sostenuto che al massimo possono avere un rilievo civilistico.
L’avvocato Carlo Melzi D’Eril ha sottolineato come il suo assistito Mario Cera fosse entrato nel comitato nomine dopo l’aprile 2013, dopo l’assemblea. E che l’incontro con il presidente di Consob, Giuseppe Vegas, fosse pubblico e finalizzato ad adeguarsi agli orientamenti dell’organo di vigilanza. Non per la Procura, secondo la quale invece era un tentativo di aggiustare la sanzione. Per Nerio Diodà, il difensore di Flavio Pizzini (nella veste di vicepresidente del Cdg), il gup ha già gli elementi per decidere, non a caso ha rimarcato i suoi poteri di pronunciarsi per il non luogo a procedere. L’avvocato Carlo Paliero, per la responsabile della raccolta delle deleghe Gemma Baglioni, ha fatto presente che il voto è arrivato secondo le intenzioni del delegante. E l’avvocato Gianluca Quadri ha messo in evidenza come Giovanni D’Aloia sia finito nell’inchiesta solo per le parole di Giorgio Jannone.