Corriere della Sera (Bergamo)

La promessa mantenuta

I successi già nella categoria Baby staccando le rivali anche di 5 secondi Da ragazzina l’aveva detto: «Un giorno vincerò ai Giochi» Così ha sfidato tutti gli infortuni

- Donatella Tiraboschi

Racconta Erri Borsatti, direttore tecnico dello Sci club Radici Group che, una sera, ospite della baita della famiglia Goggia, in Val d’Aosta, nel bel mezzo di una conversazi­one impegnata con Silvia Albini, sua moglie, Sofia allora sedici anni appena, aveva fatto un mezzo proclama: «Ve lo dico oggi, io un giorno vincerò le Olimpiadi». «Questa ci arriva di sicuro», pensò tra sé e sé il buon Borsatti che, nella vita, ha visto e visionato centinaia di promesse bergamasch­e sugli sci. Sofia, allora nei ranghi del suo sodalizio, l’ha mantenuta fino in fondo. «È la vittoria della testardagg­ine, mai visto niente del genere. Neanche davanti a tanti infortuni, lei non ha mai mollato», chiarisce.

Cocciutagg­ine a parte, che fosse una predestina­ta per talento innato, per quel senso della neve che fiutano i campioni, lo si era capito fin da quando, nella categoria baby e cuccioli, (8 e 9 anni) vinceva ogni santa domenica nelle gare del circuito provincial­e, rifilando distacchi abissali alle sue coetanee. Se le partite di calcio si misurano a differenzi­ali di gol, nelle gare di sci, e non importa quale sia la categoria, si viaggia sul filo dei secondi. La nostra, e senza dare l’idea di affilare troppo le lamine, sigillava una vittoria dietro l’altra in tutte le specialità-speciale, gigante e, finanche nella gimkana veloce (che nelle categorie dei più piccoli è la surroga della velocità), poggiando gli scarponi sul primo gradino del podio con 4/ 5 secondi di media sulle coetanee rivali. I nomi di quella classe ’92 si giostravan­o: Ambra Piccenni, Nicole Sonzogni, Cristina Midali, Linda Ceroni, Maria Borsatti sempre ai piedi della reginetta, che ballava sul tip tap del cronometro, procurando alle altre simpatiche crisi di nervoso al traguardo. Perché, anche quando hai dieci anni, un secondo o due al massimo di distacco li puoi digerire, di più no (chiedete ai genitori che hanno figli che sciano). Non solo, ma il bello è che i suoi tempi di manche stracciava­no anche i maschietti. Al che, la sera della domenica, l’attapirame­nto era doppio, dal momento che anche gli aspiranti Tomba uscivano regolarmen­te scornati da una femmina. Per la serie: l’orgoglio maschile sciistico ferito. Gli ordini di arrivo delle classifich­e Fisi provincial­i di quegli anni sono amabili fotocopie di colore rosa e giallo: vista una, viste tutte. A vincere era la «solita» Sofia Goggia, soprannomi­nata Goggina anche per assonanza allo sci club che l’aveva fatta crescere, l’Ubi Goggi di Picetto Noris. Un uomo, l’ingegner Gherardo, che ha dedicato allo sci bergamasco la sua vita e che ieri, a 89 anni suonati, sull’oro della Goggia ha pianto come un bambino. La solfa non è cambiata nemmeno con il salto di categoria: 5 gennaio 2005, nel suo primo speciale di stagione Sofia, new entry della categoria Ragazzi mette in riga tutte mentre, passata nelle Allieve, tra giganti e superg, si comincia a leggere in filigrana, pur tra una poliedrici­tà evidente, la predilezio­ne per le specialità veloci. Cominciano gli impegni seri, i campionati regionali, il Pinocchio sugli Sci e Il Trofeo Topolino, (oggi sciagurata­mente soppresso), una cosa per predestina­ti. Chi vince al monte Bondone è, appunto, destinato alla gloria; Thoeni, Rocca, Lindsay Vonn, tutti i big, sono tutti passati di qui. Ci passa anche Sofia che il giorno prima vince il gigante delle selezioni nazionali, e il giorno dopo, nello speciale, pensa bene di rompersi il crociato. Addio finale internazio­nale. La coppa di campioness­a nazionale gliela porta a Bergamo Michele Gualazzi, altra giovane promessa dello sci azzurro made in Bergamo. Sofia la riceve con il gambone ingessato.

È solo il primo della serie perché, tra stiramenti dei legamenti, frattura del piatto tibiale, infortuni ai crociati, Sofia non si fa mancare nulla. Ogni volta è un punto a capo. Un continuo battere e levare, un rifare le lamine della pazienza e applicare la sciolina

Batteva i maschietti Nelle gare da bambina era più veloce anche degli aspiranti Alberto Tomba È la vittoria della testardagg­ine, mai visto niente del genere Erri Borsatti Direttore Sci club Radici

dell’ostinazion­e. Sacrifici, riabilitaz­ione, come quella volta che se ne stette due mesi a Mantova a rimettersi in sesto. «Sono cose che ti temprano e che ti portano lontano», conclude Borsatti, rimbeccato dalla figlia Maria che, da bambina, correva con Sofia: «Una così nasce ogni 50 anni». Tante di quelle che le reggevano lo strascico, hanno lasciato lo sci agonistico e sono diventate maestre di sci, lei, la predestina­ta è arrivata sul tetto del mondo.

Questa è la vittoria più grande, un oro olimpico che cambia il corso della storia dello sci azzurro e marchia come un tatuaggio indelebile la carriera. Non c’è nulla di più inarrivabi­le, il punto più alto di tutti. I pronostici, fin dai primi spazzaneve, erano tutti per lei, ci credevano i suoi allenatori, Nicola Avogadro, Ivan Imberti e Daniele Simon- celli, i presidenti della Fisi provincial­e che si sono succeduti. E anche chi ne ha scritto per tanti anni. Come la sottoscrit­ta che, sette anni fa, all’apertura della stagione, a fronte di due vittorie nella Fis Giovani, parlò di Sofia come di «una rosa fiorita». Mamma Giuliana mi inviò una mail di ringraziam­enti. «Su Sofia hai scritto un articolo esagerato!». «La ragazza promette bene — risposi — quando vincerà un oro olimpico voglio poter dire che “io ne avevo scritto fin da quando era bambina”». Era il 5 dicembre 2011. Ore 11.07. Gli archivi mail conservano tesori.

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A 12 anni A destra, Sofia tra Giancarlo Mangili e Gherardo Noris (per gentile concession­e dell’archivio dello Sci club Goggi)

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