Bimbi dell’asilo chiusi nell’armadio Maestro a processo
Trescore, maestro a processo: mamme testimoni in aula
«Mamma non voglio entrare nell’armadio»: così, in una classe dell’asilo di Trescore, secondo le accuse, un maestro rieducava i suoi alunni. Ma, secondo le querele, alcuni venivano anche legati alla sedia.
Non sembra spaventato dal processo in corso, Roberto Belotti, 44 anni, di Gorlago: lo sguardo non è mai basso e l’imputato sembra quasi voler interloquire, nella piccola aula di tribunale, con le mamme che sfilano, come parti offese o come testimoni, per raccontare davanti al giudice Stefano Storto i «giochi» che il maestro faceva con i suoi alunni alla scuola materna di Trescore. «Giochi», così li chiamavano i bimbi, che però molto spesso non volevano farli. Come il piccolo di un’altra classe che una mattina di inizio 2016, andando all’asilo, aveva detto alla mamma che quel giorno non aveva voglia di fare l’interscambio (e cioè la giornata passata con i maestri di altre classi, in quel caso Belotti). «Mi disse — ha raccontato ieri la mamma — che non voleva finire nell’armadio. “È un gioco” ripeteva, “ma io non voglio farlo”. Prima di entrare alla materna avevo incontrato un’altra mamma. Le avevo chiesto se avesse mai sentito parlare dell’armadio e lei era sbiancata, mi aveva detto che bisognava parlarne tra noi, perché lei e altre stavano già pensando di andare a fare una denuncia. Comunque, mio figlio aveva paura di finire nell’armadio ma non mi ha mai detto di esserci finito. E ricordo anche che il giorno dopo ne parlai con un’altra maestra, che sosteneva di voler parlare con Belotti per dirgli di evitare certe scelte didattiche non azzeccatissime».
Da tutte le testimonianze è emersa la figura di un maestro che applicava quasi con costanza certi metodi: «Mio figlio — ha riportato un’altra madre — mi riferì che a volte usava come metodo il “coppino”, la sberletta in testa. Capitava poi, secondo lui, che altri bimbi venissero legati alla sedia, con lo scotch, spesso erano gli stessi che poi finivano nell’armadio. Mentre gli altri, più volte, facevano gli “agenti segreti”. Cioè dovevano tenere d’occhio “i monelli”, anche quando erano bloccati dallo scotch, e poi a volte liberarli. Anche mio figlio si era ritrovato legato e una volta gli altri avevano alzato lo scotch fino al collo, dal busto, e lui si era molto spaventato. E anche a lui era capitato di finire nell’armadio, dove c’erano, secondo il maestro, “il signor Buio” e “il signor Nulla”».
Gli stessi personaggi che, secondo i racconti delle mamme, Belotti proponeva per i disegni dei bambini, con i piccoli che venivano divorati da quei «signori». Ma proprio per l’ultima mamma che ha testimoniato ieri, c’è stata la domanda del difensore di Belotti, Miriam Campana: «Ma suo figlio che ricordo ha mantenuto del maestro Belotti?». «Devo dire che per lui, ancora oggi, Roberto è il suo maestro». Per i bimbi, forse, la definizione di «gioco» bastava. Per le mamme era altro, erano metodi quantomeno sbagliati: le querele, a marzo 2016, erano state tre, da parte di altrettante famiglie, accompagnate dalle deposizioni di fronte ai carabinieri di un’altra decina di mamme. Il pm Davide Palmieri aveva ipotizzato il reato di maltrattamenti.Poi il reato era stato derubricato: abuso di metodi correttivi e di disciplina. E il maestro è finito a processo. Nove le parti civili, assistite dall’avvocato di Genova Giulio Canobbio: sono le tre famiglie dei piccoli che sarebbero stati più presi di mira. Dopo l’anno scolastico 2015-2016 Belotti era andato a insegnare in un altro istituto. Alla materna di Trescore aveva subìto un procedimento disciplinare, finito però in nulla.