Corriere della Sera (Bergamo)

«Così ho guidato il parto per telefono: era mio dovere, non mi sento un eroe»

L’infermiere del 118 che da Bergamo ha gestito un’emergenza a Brescia

- Armando Di Landro

Sentendolo parlare al telefono, anche 12 ore dopo i fatti, sembra di rivivere quei momenti, concitati, che per un operatore del 118, e per chi chiede aiuto dall’altro capo del telefono, sembrano ore. Manuel Spinelli, 37 anni, di Bergamo, padre di due figli, è l’infermiere specializz­ato che all’alba di ieri, al telefono, «per almeno 20 minuti», ha gestito a distanza il parto di Giusy, mamma di Borgosatol­lo (Brescia), parlando prima con un figlio, poi una figlia, quindi con la vicina di casa Carolina Meneses, e infine con i soccorrito­ri volontari arrivati in autoambula­nza, prima che la situazione finisse sotto il controllo di un medico.

Lui, Spinelli, era al telefono dall’ospedale di Bergamo, e in particolar­e dalla Sala operativa emergenza urgenza Alpina, che gestisce le chiamate su tutto il territorio bergamasco, bresciano e valtelline­se. «Ho cercato subito di entrare in empatia con il ragazzo che stava chiamando, gli ho dato indicazion­i di mettere la mamma carponi, per terra, per facilitare il parto podalico. Era spaventato, lo era anche sua sorella. Poi ho percepito che al telefono era arrivata un’altra donna, forse una vicina, ma quando “l’espulsione” c’è stata, definitiva, ho anche capito che la bimba non dava segni vitali». Appare freddo, nella prima parte del suo racla conto, Manuel Spinelli. In realtà sta solo tentando di riprodurre, nel suo racconto, la razionalit­à che serve in certi momenti. Elenca dettagli tecnici, determinan­ti. «Ho detto alla vicina di appoggiare le mani al centro del torace della neonata e di iniziare le compressio­ni toraciche. Uno, due, tre… Uno due tre…— sembra di sentirlo, al telefono, alle 6.15 del mattino —. Poi ho fatto lo stesso con i volontari appena arrivati, che in più hanno potuto utilizzare le tecniche di ventilazio­ne e tagliare il cordone ombelicale, per proseguire meglio con le operazioni. Così la bimba ha iniziato a piangere». Che liberazion­e, quel pianto, anche dall’altra parte del telefono, in Sala operativa.

Non ha dubbi, Spinelli: «Le prime compressio­ni praticate dalla vicina sono state determinan­ti, è chiaro che prima si fanno e meglio è, soprattutt­o dopo un parto podalico che rischia sempre di prolungare fase asfittica del neonato». Ma dietro la tecnica dell’infermiere esperto, che al telefono ascolta come se in realtà stesse vedendo tutto, c’è la passione per un lavoro difficile, l’emozione che si contiene a fatica: «Stavo per finire il turno quando è arrivata quella telefonata. Alle 7 sono tornato a casa come ogni giorno, ma posso dirlo: un po’ più felice del solito, è nata una bambina. Anche se non sento di aver fatto nulla di particolar­e, non voglio essere protagonis­ta di nessun articolo di giornale e non sono assolutame­nte un eroe. Sono contento perché in questo caso il sistema di soccorso, pur tra difficoltà accentuate, ha dimostrato di funzionare. È stato come un puzzle, che passo dopo passo si è composto alla perfezione».

Lui, Manuel Spinelli, sa bene quanto conti la concentraz­ione e la partecipaz­ione (composta) di tutti. «Lavorare nelle emergenze sanitarie è sempre stato il mio sogno». A 13 anni era già centralini­sta di un’associazio­ne di volontaria­to che si occupava di soccorsi, a 18 i primi viaggi in autoambula­nza, poi gli studi, il lavoro al pronto soccorso di Treviglio, quindi in Rianimazio­ne pediatrica al Papa Giovanni e ora la Sala operativa. «Sono un uomo di fede e prego Dio di farmi fare al meglio il mio lavoro».

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Il contatto Al telefono c’era Carolina Meneses, vicina della donna che ha partorito

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