Un amore dell’altro mondo
«Orfeo e Euridice» alla Scala nella versione francese con la voce bruna di Florez «La musica può consolarci»
«Che farò senza Euridice? Dove andrò senza il mio ben?» L’aria più famosa di Gluck, la più dolce e la più struggente, è anche quella che meglio racchiude il senso ultimo di quella meraviglia che è «Orfeo e Euridice», opera di amore e morte, anzi dell’amore che sfida la morte grazie al potere salvifico del canto e della musica. «Orfeo ne è il simbolo, lui è il canto stesso, la cui forza può convincere gli dei a concedere l’inosabile, varcare la soglia dell’Ade per ritrovare l’amata perduta», spiega Juan Diego Florez, che a quel cantore mitico presterà la sua voce brunita necessaria all’Orfeo dell’edizione francese, dove il ruolo originariamente assegnato a un castrato o a un’interprete femminile, è invece affidato a un tenore. E allora, con Christiane Karg come Euridice e Fatma Said come L’Amour, Florez sarà protagonista di «Orphée et Euridice», da sabato alla Scala per la prima volta in questa versione, produzione del Covent Garden, regia di John Fulljames e Hofesh Shechter (quest’ultimo anche coreografo), direzione musicale di Michele Mariotti. Che, inanellando un’opera via l’altra e fresco del trionfo con Bohème a Bologna, ora affronta Gluck per la prima volta. «E mi ritrovo nella stessa condizione di Orfeo, con i cantanti alle spalle, impossibilitato a voltarmi», scherza il maestro pesarese, alludendo all’idea chiave dell’allestimento, che prevede l’orchestra sul palco anziché in buca. «Visto che la musica è la vera protagonista dell’opera, la musica deve essere in scena, e il direttore e gli strumentisti fanno parte integrante dello spettacolo», spiega Mariotti.
Così come lo saranno i danzatori e i coristi, anche loro a celebrare il rituale funebre per Euridice. «Un congedo che Orfeo non riesce ad accettare — prosegue Mariotti —. Il suo dolore è incolmabile, rivuole l’amata a ogni costo. Non solo spiritualmente ma fisicamente, recuperando quell’elemento carnale ed erotico che in Gluck è solo accennato. Qui però non saranno figurine astratte ma un uomo e una donna lacerati dalla perdita reciproca».
Solo Amore può compiere il miracolo. E Amore, traitd’union tra dei e uomini, intercede per Orfeo. Che potrà riprendersi Euridice solo a patto di non voltarsi mai indietro e non spiegarle il perché. «Due condizioni che nessuna donna accetterebbe — assicura ridendo Florez —. Così Euridice si risente e Orfeo alla fine cede. Decretandone la seconda morte». Come direbbe Lella Costa, che al mito dei due ha dedicato una rilettura femminista: «Lui doveva fare una sola cosa, non voltarsi, ma da maschio non è riuscito nemmeno in quella».
«In realtà — spiegano i registi — quello di Orfeo è un percorso di accettazione della perdita. Il vero miracolo di Amore non è la resurrezione ma far sì che Orfeo trovi la forza di andare avanti. L’happy end previsto da Gluck l’abbiamo rispettato ma suggerendo che tutto avviene nella testa del protagonista». «La musica — conclude Florez — non ha il potere di riportare in vita chi amiamo, non può cambiare il corso delle cose, ma può rendere la nostra vita più ricca e talora persino consolarci».