Corriere della Sera (Bergamo)

Un amore dell’altro mondo

«Orfeo e Euridice» alla Scala nella versione francese con la voce bruna di Florez «La musica può consolarci»

- Giuseppina Manin

«Che farò senza Euridice? Dove andrò senza il mio ben?» L’aria più famosa di Gluck, la più dolce e la più struggente, è anche quella che meglio racchiude il senso ultimo di quella meraviglia che è «Orfeo e Euridice», opera di amore e morte, anzi dell’amore che sfida la morte grazie al potere salvifico del canto e della musica. «Orfeo ne è il simbolo, lui è il canto stesso, la cui forza può convincere gli dei a concedere l’inosabile, varcare la soglia dell’Ade per ritrovare l’amata perduta», spiega Juan Diego Florez, che a quel cantore mitico presterà la sua voce brunita necessaria all’Orfeo dell’edizione francese, dove il ruolo originaria­mente assegnato a un castrato o a un’interprete femminile, è invece affidato a un tenore. E allora, con Christiane Karg come Euridice e Fatma Said come L’Amour, Florez sarà protagonis­ta di «Orphée et Euridice», da sabato alla Scala per la prima volta in questa versione, produzione del Covent Garden, regia di John Fulljames e Hofesh Shechter (quest’ultimo anche coreografo), direzione musicale di Michele Mariotti. Che, inanelland­o un’opera via l’altra e fresco del trionfo con Bohème a Bologna, ora affronta Gluck per la prima volta. «E mi ritrovo nella stessa condizione di Orfeo, con i cantanti alle spalle, impossibil­itato a voltarmi», scherza il maestro pesarese, alludendo all’idea chiave dell’allestimen­to, che prevede l’orchestra sul palco anziché in buca. «Visto che la musica è la vera protagonis­ta dell’opera, la musica deve essere in scena, e il direttore e gli strumentis­ti fanno parte integrante dello spettacolo», spiega Mariotti.

Così come lo saranno i danzatori e i coristi, anche loro a celebrare il rituale funebre per Euridice. «Un congedo che Orfeo non riesce ad accettare — prosegue Mariotti —. Il suo dolore è incolmabil­e, rivuole l’amata a ogni costo. Non solo spiritualm­ente ma fisicament­e, recuperand­o quell’elemento carnale ed erotico che in Gluck è solo accennato. Qui però non saranno figurine astratte ma un uomo e una donna lacerati dalla perdita reciproca».

Solo Amore può compiere il miracolo. E Amore, traitd’union tra dei e uomini, intercede per Orfeo. Che potrà riprenders­i Euridice solo a patto di non voltarsi mai indietro e non spiegarle il perché. «Due condizioni che nessuna donna accettereb­be — assicura ridendo Florez —. Così Euridice si risente e Orfeo alla fine cede. Decretando­ne la seconda morte». Come direbbe Lella Costa, che al mito dei due ha dedicato una rilettura femminista: «Lui doveva fare una sola cosa, non voltarsi, ma da maschio non è riuscito nemmeno in quella».

«In realtà — spiegano i registi — quello di Orfeo è un percorso di accettazio­ne della perdita. Il vero miracolo di Amore non è la resurrezio­ne ma far sì che Orfeo trovi la forza di andare avanti. L’happy end previsto da Gluck l’abbiamo rispettato ma suggerendo che tutto avviene nella testa del protagonis­ta». «La musica — conclude Florez — non ha il potere di riportare in vita chi amiamo, non può cambiare il corso delle cose, ma può rendere la nostra vita più ricca e talora persino consolarci».

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Disperato Il tenore peruviano Juan Diego Florez nei panni di Orfeo. Euridice è Christiane Karg

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