Violi: «Ceribelli nella mia giunta»
Lo sfidante del M5S: «Sulle liste ci sono stati errori. Giunta in anticipo? Non farò come Di Maio»
Dario Violi non ci sta a correre per il terzo posto. «Se non vinco sarà un grande rammarico, e non solo per me. In tanti, anche lontani dal Movimento 5 Stelle, mi dicono che ho fatto la differenza in questa campagna elettorale». Il consigliere regionale uscente. 32 anni, bergamasco, corre per la presidenza della Lombardia. Intanto fissa la propria asticella per le preferenze da raccogliere in provincia: «Almeno 2 mila».
Giorgio Gori dice che lei sta facendo una bella campagna elettorale. La cosa la inquieta o la lusinga? (Ride) «Lui potrebbe fare il mio assessore».
che Cosa non ha sapeva? scoperto dei suoi avversari
non «Che lo dico sono io, molto lo dicono più scarsi quelli di che me. ci Ma incontrano. dall’Ance dopo Ad esempio averci ascoltati, qualcuno, mi uscendo ha detto: oggi, “Se tu il stravinceresti”. voto dipendesse Si dall’incontro sta parlando di di costruttori edili, non di grillini al bocciodromo». Li vede scarsi anche come animali da campagna elettorale?
«È stata una campagna elettorale molto piatta. Fontana è lento, lontano. Da uno che ha fatto il sindaco per dieci anni e poi il presidente del Consiglio regionale ti aspetti un po’ più di competenza, capacità, visione. Gli manca tutto. Gori è molto poco politico. Sarà un buon manager, però si vede che la politica non è roba sua». Gli manca l’empatia con la gente?
«Empatia sotto la suola delle scarpe. Ma soprattutto poca strategia politica. Lo strappo con LeU è responsabilità sua. E pensare di mettere nelle liste gente di centrodestra, come il sindaco di Pedrengo Gabriele Gabbiadini? Che roba è?». C’è una cosa da salvare in Lombardia fatta da Maroni?
«Faccio fatica a trovarne una. Nessuna visione generale ed è riuscito a frenare una macchina che andava da sola». Anche Gori dice che la Regione funzionava meglio con Formigoni.
«Non perché Formigoni la facesse correre. In questi anni però c’è stata molta poca concertazione e poca programmazione, lo dicono tutti, dal terzo settore ai comitati per l’ambiente, ai pendolari». Resta un problema di trasparenza?
«Certo, soprattutto sugli acquisti. Arca, la centrale unica per gli acquisti, è sottoutilizzata. Fare tanti piccoli acquisti e contratti significa moltiplicare i rischi di opacità e corruzione».
E l’autonomia? Voi avete collaborato al referendum. Gori dà un buon giudizio sul lavoro fatto fin qui, Fontana ottimo.
«Gori sull’autonomia non è credibile. Ha sostenuto un referendum costituzionale che accentrava i poteri, poi quello regionale che aumentava i poteri al governatore. La soluzione trovata da Maroni è un pannicello caldo. L’autonomia passa dal coordinamento della finanza pubblica e dalla compartecipazione al gettito. Se le risorse non rimangono sul territorio è inutile parlare di autonomia».
Se non arriva primo o secondo, dovrà raccogliere le preferenze per tornare in Consiglio regionale. Preoccupato? «Ci ho pensato poco, finora, ma penso di arrivare a duemila preferenze». Quanto ha raccolto finora per la campagna elettorale?
«Circa 32 mila euro».
Bastano?
«Sì. Basta non andare in hotel a cinque stelle, bastano a pagare manifesti, alberghi, qualche pranzo e qualche evento. Poi ci ho messo qualcosa di mio». Rispetto al 2013, Grillo non c’è.
«Noi abbiamo fatto tre date in Lombardia con Alessandro Di Battista e le piazze si sono riempite. Rispetto al 2013 c’è meno rabbia ma più attenzione e fiducia nelle nostre proposte». Quanto vi ha colpito la vicenda dei rimborsi?
«Quello che è successo non ci ha danneggiato, anzi, abbiamo fatto sapere che abbiamo restituito dei soldi. Io ho rinun-
ciato a 152 mila euro di stipendi in Regione».
Certi personaggi, indagati, condannati, massoni, nelle liste invece sono un problema?
«Stiamo parlando di uno che taroccava i cd mentre abbiamo Formigoni ricandidato. Sicuramente ci sono stati degli errori, così come sui rimborsi. Ma la nostra credibilità sta nel buttar fuori questa gente dal Movimento, a differenza di chi certe persone le premia in tutta tranquillità».
Di Maio anticipa alcuni nomi di ministri. Per la sua giunta si è fatto il nome di Giovanna Ceribelli, revisore dei conti che fece scoppiare lo scandalo sulla sanità.
«Giovanna sicuramente. Sarà probabilmente alla mia serata di chiusura. Sarebbe il riconoscimento per qualcuno che si è preso minacce per far saltar fuori uno scandalo. Poi io non credo nella squadra di governo prima. Lo dico sapendo benissimo che a livello nazionale stanno facendo scelte differenti. Io credo che le menti migliori vengano fuori dopo». Chi prenderà più voti domenica tra Gori e Fontana?
«Ci sono i sondaggi, che sono chiari, come l’aria che tira a livello nazionale». L’aria di destra è legata al tema dell’immigrazione: è preoccupante?
«È preoccupante per la mancanza di memoria su chi ha governato negli ultimi 15-20 anni e che ci ha portato nella situazione in cui siamo oggi. Non credo invece a tutta quella storia di fascismi e neo fascismi. Il tema immigrazione è legato alla sicurezza e chi nel centrosinistra in questi anni ha fatto finta di non vederlo ha alimentato il problema». Ma l’elettorato coglie sull’immigrazione uno stacco tra M5S e Pd?
«Siamo decisamente diversi. Noi vogliamo potenziare le commissioni che valutano le richieste d’asilo, cosa che ha fatto la Merkel, per poter poi rendere più rapidi i procedimenti dei rimpatri. È evidente che 24 mesi una persona parcheggiata finisce in mano alla criminalità organizzata». Se vincesse, quali sarebbero i suoi primi provvedimenti?
«Tre provvedimenti. L’abolizione del piano della cronicità, che considera le persone fragili un business in mano ai privati e soprattutto dei clienti, non delle persone da prendere in carico. Serve un approccio multidisciplinare e territoriale che costa pure meno, sull’esempio in parte dell’Emilia Romagna. Secondo, andare a Bruxelles a chiedere soldi per nuovi investimenti sulle rotaie, insieme a Rfi. Ci sono già stato, c’è disponibilità purché Regione e Rfi abbiano questa intenzione: vorrebbe dire miglioramento della qualità dell’aria, far girare i treni come se fossimo una regione metropolitana di medie dimensioni europee e non il Terzo Mondo. E il terzo intervento è una rivoluzione su Finlombarda. Vanno cacciati i manager che non rispondono alle necessità delle piccole e medie imprese».
Ma lei non è un po’ troppo bergamasco per fare il presidente della Lombardia?
«Perché? — alza le sopracciglia —. Per l’accento? Ma no, a Milano apprezzano il pragmatismo. E negli altri territori mediamente sono ben felici. Negli ultimi anni hanno visto solo candidati milanesi o di Varese».
Gori ha poca strategia politica. Lo strappo con Liberi e Uguali è responsabilità sua. E pensare di mettere nelle liste gente di centrodestra? Che roba è? La soluzione di Maroni sull’autonomia è un pannicello caldo. L’autonomia passa dal coordinamento della finanza pubblica e dalla compartecipazione al gettito