Coppa Italia Juve di rigore, Atalanta fuori
Dopo il k.o. con il Borussia, eliminata dalla Juve nonostante una gara convincente, soprattutto nel primo tempo Decide un penalty (discusso) di Pjanic, Gomez colpisce un palo
Un rigore di Pjanic (foto) regala la vittoria alla Juve che conquista la finale di Coppa Italia. Penalty molto discusso come altre decisioni dell’arbitro che non ha voluto affidarsi al Var. Per l’Atalanta l’unico obiettivo rimasto è il campionato.
Il sogno è svanito, con una buona dose di sfortuna. Il palo di Gomez, al sessantaquattresimo, spegne l’ardore dell’Atalanta, battuta 1-0 dalla Juventus con un gol di Pjanic a un quarto d’ora dalla fine. Una partita equilibrata, con i nerazzurri che hanno provato a fare gioco e dare problemi a Buffon, mai realmente impegnato con una parata.
Si è sentita l’assenza di un centravanti di ruolo, con Ilicic e Gomez sempre costretti ad arretrare e cercare l’imbucata per l’inserimento di un centrocampista, tra Freuler e Cristante. Quindi possesso palla sterile, in attesa del giusto meccanismo che, di fatto, non è mai scattato.
Var o non Var
Non solo la dea bendata avversa, anche la gestione del match da parte dell’arbitro Fabbri lascia più di qualche dubbio. Chiellini, al quindicesimo, è intervenuto in maniera scomposta sul suo prossimo compagno di squadra, Caldara, con una scivolata che probabilmente era da rosso. Niente Var per il direttore di gara, che ha rifiutato l’ausilio della tecnologia anche quindici minuti più tardi, quando Masiello colpiva la palla con la mano dopo un velo da parte di Mandzukic. Braccio (molto) largo e dinamica che assomiglia molto a quella del rigore concesso all’Atalanta nell’andata di Coppa Italia (e sprecato da Gomez) per infrazione di Benatia.
Sa, invece, di compensazione quello elargito a un quarto d’ora dalla fine per una presunta trattenuta di Mancini su Matuidi: da valutare l’entità del tocco, ma il francese appare decisamente goffo nel cadere per terra. Game, match e qualificazione che va in archivio, perché nonostante l’inserimento di Cornelius l’Atalanta non ha più creato nessuna occasione.
Due sogni svaniti
Dieci giorni per rischiare di rimanere fuori da tutto. Prima la supersfida con il Borussia Dortmund, finita con l’1-1 di Reggio Emilia e l’amaro in bocca di un mancato passaggio del turno che sembrava essere alla portata, anche nell’economia dei due incontri. Poi questa sconfitta, forse preventivabile e preventivata, soprattutto dopo l’1-0 dell’andata con il rigore sbagliato da Gomez.
E ora c’è la Sampdoria, avversario non proprio malleabile: è un vero e proprio spareggio per l’Europa, visto che i blucerchiati sono a più sei rispetto all’Atalanta (con una partita in più) e un’eventuale sconfitta allontanerebbe definitivamente il settimo posto, l’ultimo utile per riprovare la rassegna continentale.
Si passerebbe, inoltre, da uno stato di euforia costante, con la possibilità di raggiungere Lione e Roma (più esaltazione il primo caso, tangibile il secondo) per le finali delle coppe, a un’apatia per assenza di obiettivi già da inizio marzo, con la lotta salvezza che non sfiorerà la banda Gasperini, ma senza speranze europee.
Il morale
In questo senso saranno anche da valutare gli eventuali contraccolpi negativi. A gennaio Gasperini ha chiesto un
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centravanti che non è arrivato, costringendolo a giocare con due calciatori che non possono ricoprire il ruolo di riferimento offensivo.
Un eventuale punto di rottura per il prossimo periodo di mercato, perché alcune interviste sembravano la cartina tornasole di un malessere diffuso. Poi Berisha, ieri in ripresa, ma incapace di fermare un singolo pallone nella gara di ieri sera (solo respinte, anche intelligenti in alcune occasioni), dopo le papere contro Crotone e Borussia Dortmund.
E poi Gomez, quattro gol in campionato — sette in stagione — che non pareggiano i sedici della scorsa annata, in cui aveva anche trascinato i propri compagni con molti assist, soprattutto per Conti.
Per i nerazzurri la stagione, finora, è stata di altissimo livello. Sarebbe un peccato abbandonare i tre fronti in dieci giorni.