BURIAN O BURLA?
Siamo proiettati nel futuro, ma siamo sempre prigionieri del passato e dei suoi miti. Lo abbiamo visto in questi giorni. Arriva Burian, l’ondata di gelo proveniente dalle steppe siberiane, ed è come se di colpo fosse stato riesumato l’invincibile binomio Russia-neve. Quelle due parole sono bastate a far rivivere la memoria di disastrose campagne militari e a diffondere un brivido di freddo e paura. Le reazioni non si sono fatte attendere e ovunque, da Nord a Sud, s’è sentito risuonare il segnale di ritirata. Con l’incubo di centomila carrozze di ghiaccio, le aziende ferroviarie sono state tra le più solerti a indietreggiare. Nella giornata di ieri la sola Trenord aveva previsto la cancellazione di 500 treni su 2.300. Oltre il 20 per cento delle corse soppresse. Numeri da disastro annunciato, che alla resa dei conti non c’è stato. Certo, è caduta la neve, com’è normale che sia nei mesi invernali. Ma anche dopo la fioccata della notte, ieri mattina se n’erano accumulati solo pochi centimetri. Sufficienti per imbiancare il paesaggio, non per mandare in bianco il traffico ferroviario. I pendolari, anche attraverso i social network, hanno provato a farlo presente. Ma gli ordini sono ordini, i generali che li impartiscono dormono più a lungo della truppa e a partire dal primo mattino il piano di tagli è entrato in fase esecutiva. Sono dovute passare alcune ore per metter fine a una situazione, a modo suo, anche comica. Perché fermare tutti quei treni per pochi centimetri di neve è come dire che Burian può essere ribattezzata Burla.