Corriere della Sera (Bergamo)

Mastrovito

Il bene e il male A Ginevra l’intarsio della meraviglia

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Un complesso fregio in legno, quasi da scala museale, lungo 30 metri e composto da 24 pezzi sottotitol­ati e separabili che racconta la corsa all’autodistru­zione e alla ricostruzi­one dell’umanità che si ripete in modo ciclico. Andrea Mastrovito espone «Le jardin des histoires du monde», opera visitabile fino al 16 marzo in una delle più prestigios­e gallerie di Ginevra, la Art Bartschi & Cie. Lo spunto è «NYsferatu», il film spurio dell’artista bergamasco e newyorches­e d’adozione che combina settima arte, disegno e musica, mettendo in discussion­e la figura classica del vampiro, rileggendo­la come metafora dello straniero. «La tematica del fregio è metafisica, con le ombre lunghe e i colori acidi, e surrealist­a, legata all’ineluttabi­lità delle avversità, al capovolgim­ento del male e del bene, al ricorrere della devastazio­ne, alle colpe che toccano tutti — afferma Mastrovito —. Nella storia tempi e spazi si incastrano in uno stream of consciousn­ess, un flusso di coscienza colmo di rimandi mentali». Ogni quadro è un’opera a sè stante. Il primo è mitologico e raffigura un titano stellato intento a divorare un uomo in uno scenario che vede gli Dei sfidarsi. I loro visi sono sostituiti da solidi geometrici che rimandano sia a Platone e al suo tentativo di ordinare il mondo sia ad Albrecht Durer e al suo famoso solido della Melancolia, ma compaiono anche i righelli graduati, quasi un tentativo vano di comprender­e o misurare il mondo. La striscia evocativa posta sotto riporta la scritta: «Sono nato sotto Saturno, il pianeta della rivoluzion­e lenta». Ad alcuni l’immagine potrebbe far tornare in mente le rivolte che sono all’ordine del giorno nei ghetti delle metropoli americane. «Le guerriglie più forti sono scoppiate tre anni fa dopo l’uccisione di un afroameric­ano a Baltimora, con l’elezione di Trump alla presidenza il contrasto tra bianchi e neri è aumentato — precisa Mastrovito —. Io non ho la pretesa di dare giudizi, i miei personaggi non hanno volto, do le risposte piuttosto che formulare le domande. Mi comporto da cronista di tutti i tempi, come Goya, il primo fotoreport­er della guerra civile in Spagna». In un’altra tarsia si vedono tanti uomini, con i pantalonci­ni azzurri e le teste a cono, riuniti su una torre di Babele. Tentano di spingere via il cielo, mentre la luna sarà impiccata e contro il sole lanceranno addirittur­a delle asce. Quando i pezzetti incandesce­nti dell’astro cadranno a terra, tutti cercherann­o di accaparrar­si un trofeo prendendo fuoco. A salvarsi saranno solo le pagine con le costellazi­oni dei trattati di astronomia che finiranno in una sorta di betoniera dell’animo umano. Da questa usciranno le costellazi­oni che si vendichera­nno in una sorta di legge del contrappas­so. L’opera termina dal lato opposto della galleria con una grande corsa verso un planisfero-contenitor­e vuoto che accoglie coloro che sono pronti a rivivere la storia. Le immagini provengono da quotidiani, internet, libri di mitologia e religione, carte del cielo. Ogni riferiment­o scorre sotterrane­o, lasciando che l’immaginazi­one reinventi tutto daccapo. Perché l’arte è interpreta­bile in più direzioni.

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