PRIMO INFORMARE
Proprio non ce la fa. Informare la gente: per Trenord è operazione fuori portata, al di sopra delle proprie facoltà mentali. Nell’era della comunicazione, dove tutto è smart, siamo ancora qui tra gli sconsolati lamenti dell’umanità afflitta che viaggia sui nostri treni. Sui treni dei pendolari. E ripetiamolo, che non fa male: sono i treni degli italiani che studiano e che lavorano, sostanzialmente gli italiani migliori. Può succedere di tutto, persino un disastro immane con poveri morti sulla massicciata, possono seguire settimane di disagi terribili, costellati di ritardi a doppia cifra, di attese al buio e al gelo, ma questa eroica utenza incassa e riparte. Tutte le mattine, tutte le sere. In viaggio si porta sempre un corredo particolare: la cartella e l’ansia del rallentamento. Appena il convoglio, per qualunque motivo, riduce la velocità, scatta il panico: ci siamo, anche oggi l’inferno. Così l’altro giorno, ancora una volta: quattro ore in mezzo al nulla, tra Milano e Treviglio. Eppure, anche in piena disperazione, l’invocazione più accorata è per qualcosa di molto elementare, il minimo del minimo: sapere. Sapere perché. E siamo allo scandalo vero: su questa richiesta umanissima e banale, non c’è verso di fare un passo avanti. Trenord non si schioda. Proprio non ce la fa. Non riesce a dire cosa è successo. Nel secolo dell’Alta Velocità, della banda larga e del 5G, informare non è previsto. Il problema è alla radice: non manca la tecnologia, manca il rispetto. Ma un’informazione voglio darla io: questa si chiama vergogna.