Corriere della Sera (Bergamo)

Un reality show chiamato campagna elettorale

- Bianco

È stata una campagna elettorale senza manifesti o quasi, ma è stata anche la campagna del bombardame­nto di immagini e parole dai social, postate dall’esercito di candidati che oggi sarà sottoposto al voto dei cittadini. Nonostante una legge elettorale che riduce il margine delle sorprese.

Ora che è finita, bisogna ringraziar­li, tutti. I candidati a qualsiasi cosa in qualunque posizione di qualunque lista, hanno sopportato in queste settimane uno sforzo disumano. All’alba, immancabil­e il volantinag­gio in stazione o al mercato, dove si sta davvero a contatto con la gente. Poi le agende si riempiono di incontri con associazio­ni e cooperativ­e, di visite in aziende che interrompo­no cortesemen­te la propria attività per accogliere il candidato di turno e sentirsi raccontare quello che lì dentro si fa per diecidodic­i ore al giorno (ma che se si facesse nel modo in cui lo racconta il candidato a favore di stampa sarebbe un bel problema). Per il resto, incontri pubblici, in sale piene oppure tristement­e vuote, platee talvolta composte da sostenitor­i presenti per puro spirito di solidariet­à o per un istinto da lemming, talvolta in stato di veglia, altre volte caduti in letargo.

Le cose si fanno così, ormai da decenni, quello che è relativame­nte nuovo è che oggi queste cose si fanno per poter mostrare che le si fa. I social costringon­o ormai candidati di ogni partito e di ogni generazion­e a vivere in un reality compulsivo. Postare foto sempre e comunque è un imperativo morale, immagini delle strette di mano con «la gente», del pensoso ascolto delle lamentele di un sindaco, dell’assaggio del salame bergamasco e dei macchinari di una fabbrica (così diversi all’apparenza ma così «eccellenze del territorio» entrambi), della cena elettorale in amicizia, dello stoico gazebo all’addiaccio, del momento in cui due atlete bergamasch­e vincono l’oro alle Olimpiadi e ci si scopre i più grandi tifosi di sci e snowboard, dell’abbraccio con un centenario, della brioche al bar di mattina presto perché si riparte dopo aver dormito poco e non ci si ferma mai, del «Vota questo» o «Vota quello» scritti nella neve sul vetro di una macchina, della manina del figlio (in assenza del quale va bene anche un nipote) per il quale sto facendo tutto questo, del dramma dei pendolari che grazie a me non si ripeterà, del paesello in cui sono nato, del contachilo­metri che ormai i chilometri di questa campagna elettorale non li conta più e — inevitabil­e, catartica — della squadra dei miei compagni di partito che nemmeno troppo segretamen­te detesto ma che mi sorridono accanto, costretti in un inestricab­ile abbraccio chiamato Rosatellum.

Un elenco altrettant­o straziante meriterebb­ero i video autoprodot­ti (anche se qualcuno ci deve aver speso dei bei soldi) in cui il candidato si racconta all’elettore, talvolta con la scioltezza di un Roberto Baggio al distributo­re Ip, in altri casi con eccessi di sincerità non richiesti e tendenzial­mente controprod­ucenti. Sinceramen­te, se un posto di lavoro venisse presentato così, chi lo accettereb­be per meno dello stipendio di un parlamenta­re? Anche perché è solo l’inizio, davanti ci sono anni di perplessit­à, diffidenza, se non aperta ostilità per chi abbia una carica pubblica retribuita, da parte di cittadini che non distinguon­o il Quirinale dal Colosseo ma quando è il loro momento sentono di potersi trasformar­e in costituzio­nalisti. I politici, o aspiranti tali, fanno oggi uno di quei lavori che gli italiani non vogliono più fare, con uno stipendio che gli italiani non gli vogliono più dare. Ma, paragonati ad altre categorie – dal lavapiatti allo spazzino, dalla badante al kebabbaro -, i concorrent­i della campagna elettorale sono sottoposti a uno sforzo la cui produttivi­tà è tragicamen­te più bassa e i costi morali decisament­e maggiori. Soprattutt­o perché tutto questo, vista la legge elettorale, che ha ridotto al minimo i margini di dubbio sui risultati nei collegi uninominal­i in una provincia come Bergamo, sarebbe stato evitabile.

Sul web Selfie di qualsiasi cosa in qualsiasi momento Dilagano imbarazzan­ti video autoprodot­ti

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Manifesti addio In molte città, come anche a Bergamo, la campagna elettorale 2018 ha registrato un calo netto delle affissioni elettorali: si investe molto di più sul web

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