Corriere della Sera (Bergamo)

IL POLITICO UBIQUO

- di Cristiano Gatti

Non la penso come una certa deriva qualunquis­ta, secondo la quale meno un sindaco sta in Comune, meno danni combina. Ho una consideraz­ione altissima di quel ruolo. Tant’è vero che non mi sentirei mai all’altezza di quel ruolo. Ma proprio per questo rispetto, proprio non riesco a capacitarm­i di come certi nostri amministra­tori riescano ad annunciare, con le urne ancora calde, di diventare parlamenta­ri a Roma o a Milano e di restare comunque sindaci sul proprio territorio. Ovvio, viene subito in mente Gori, ma non è giusto personaliz­zare: non è l’unico. Io li guardo dal mio complesso d’inferiorit­à e resto basito. Sarà che sono della linea esistenzia­le di una volta, quella dei nonni, meglio fare una cosa bene che cento male. Sarà che noi umani siamo schiavi da sempre di questo limite delle 24 ore, mentre ne servirebbe­ro almeno 39 al giorno. Come fanno loro, mi chiedo allora tra l’incantato e lo scettico. E va bene che siamo fanatici del mito post-moderno definito multitaski­ng, del fare più cose contempora­neamente. Ma mi ostino a credere che la gestione della cosa pubblica sia molto, molto, molto impegnativ­a. E allora lo dicano: sono tutti Nembo Kid. Oppure riconoscan­o che fare il sindaco e il parlamenta­re non è poi così impegnativ­o, almeno quanto penso io e quanto dicono solitament­e loro. Ma non credo sia così, non credo siano cose da fare a mezzo servizio. E siccome non credo neppure che i draghi della politica abbiano il dono dell’ubiquità, vivo in un dubbio doloroso: non sarà che per fare tutto, alla fine, si finisca per non combinare niente?

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