IL POLITICO UBIQUO
Non la penso come una certa deriva qualunquista, secondo la quale meno un sindaco sta in Comune, meno danni combina. Ho una considerazione altissima di quel ruolo. Tant’è vero che non mi sentirei mai all’altezza di quel ruolo. Ma proprio per questo rispetto, proprio non riesco a capacitarmi di come certi nostri amministratori riescano ad annunciare, con le urne ancora calde, di diventare parlamentari a Roma o a Milano e di restare comunque sindaci sul proprio territorio. Ovvio, viene subito in mente Gori, ma non è giusto personalizzare: non è l’unico. Io li guardo dal mio complesso d’inferiorità e resto basito. Sarà che sono della linea esistenziale di una volta, quella dei nonni, meglio fare una cosa bene che cento male. Sarà che noi umani siamo schiavi da sempre di questo limite delle 24 ore, mentre ne servirebbero almeno 39 al giorno. Come fanno loro, mi chiedo allora tra l’incantato e lo scettico. E va bene che siamo fanatici del mito post-moderno definito multitasking, del fare più cose contemporaneamente. Ma mi ostino a credere che la gestione della cosa pubblica sia molto, molto, molto impegnativa. E allora lo dicano: sono tutti Nembo Kid. Oppure riconoscano che fare il sindaco e il parlamentare non è poi così impegnativo, almeno quanto penso io e quanto dicono solitamente loro. Ma non credo sia così, non credo siano cose da fare a mezzo servizio. E siccome non credo neppure che i draghi della politica abbiano il dono dell’ubiquità, vivo in un dubbio doloroso: non sarà che per fare tutto, alla fine, si finisca per non combinare niente?