Corriere della Sera (Bergamo)

La penna da 007 che inguaia il boss

Pino Romano va in carcere per due pistole clandestin­e trovate a un «amico»

- di Maddalena Berbenni

Giuseppe «Pino» Romano, il «boss» della Bassa Bergamasca, è finito in carcere per cessione di armi illegali, un reato che prevede condanne fino a dieci anni. A lui sono arrivati gli uomini della Guardia di finanza, che stavano indagando su un presunto ricettator­e. A casa dell’uomo, avevano trovato una semiautoma­tica e un’insidiosa pistola a penna, un’arma di solito usata dalle cosche. Per l’accusa, sono di Romano.

Il lavoro sospetto Romano risultava tra i dipendenti del bar gestito dall’uomo che custodiva le armi

Lo spessore di uno come Giuseppe «Pino» Romano lo misuri dalle piccole cose. Per esempio, ha un unico numero di cellulare. Sempre lo stesso. Da una vita. Non ha bisogno, lui, di fare giochetti con le Sim. E poi vive all’insegna della sobrietà. Niente ville. Niente Suv. Niente ristoranti di lusso. Piuttosto, il bar del paese. È uno, Romano, che nemmeno si scompone davanti alle forze dell’ordine, ma le rispetta. Quando giovedì all’ora di pranzo al suo appartamen­to di via Galbiati, a Romano di Lombardia, ha bussato la Finanza, si è preoccupat­o solo di fare uscire la moglie, di spegnere le pentole sui fornelli e che la perquisizi­one terminasse prima del ritorno da scuola del figlio 13enne.

È finito in carcere, il «boss» della Bassa, 59 anni, origini calabresi e carriera al Nord. Coincidenz­a, per lo stesso «settore» che lo aveva messo nei guai la prima volta, nel lontano 1979. Armi. Ma, appunto, lo spessore del personaggi­o nel frattempo è cresciuto. Oggi, sempre che le accuse trovino conferme, non si tratta di armi banali. Sono una semiautoma­tica tedesca e, soprattutt­o, una pistola a penna in ottone, di fabbricazi­one artigianal­e ma insidiosis­sima, di quelle che usano gli uomini della ‘ndrangheta.

I finanzieri le avevano scovate a casa di Massimo Taiocchi, 59 anni, di Bergamo, in passato al centro di un giro di auto rubate e rivendute all’estero, a ottobre 2017 di nuovo nel mirino per ricettazio­ne nell’operazione «Tabula rasa orobica». Ora, è ai domiciliar­i dopo tre mesi di cella. Per portarcelo le Fiamme gialle lo avevano raggiunto nel suo bar di via Borgo Palazzo. Avevano passato il locale ai raggi «X» per poi spostarsi a casa. In un’intercaped­ine della camera da letto avevano trovato una sacca sgualcita. Dentro, le pistole clandestin­e con le relative munizioni: per Mauser Hsc 125 proiettili calibro 7,65, mentre per la pistola a penna 7 di calibro 22. Allora nessuno poteva immaginare un legame con Romano. Ai finanzieri, coordinati dal pm Emanuele Marchisio, era sembrato subito scontato, però, che un armamentar­io del genere non potesse appartener­e a Taiocchi, anche se lui se ne è assunto la responsabi­lità. Forse sarebbe stato pronto a farlo anche nel caso in cui si fosse risaliti a delitti connessi. Non è emerso. La Mauser non ha mai sparato. Per la «penna» è difficile stabilirlo e anche questo fa capire quanto sia uno strumento da profession­isti. Basta infilarla sotto una manica. Il grilletto sembra la molla di un’innocua biro a sfera, invece con un colpo uccide. Roba vista nei film.

Partendo dal quel dubbio, gli inquirenti hanno cominciato a scavare e a farsi l’idea che dietro ci fosse Romano: per loro, Taiocchi gli avrebbe fatto il favore di custodire le armi in cambio di protezione. Ci sono le telefonate che il «boss» ha tentato di fare al presunto ricettator­e proprio quando i finanzieri sono andati a prenderlo. Anche se non ci ha mai lavorato, Romano risulta inoltre tra i dipendenti del locale, almeno fino al momento dell’arresto di Taiocchi. Poi, dal carcere, il 59enne ha ordinato per scritto all’ex compagna di licenziare «tu sai chi». Una mossa, ritiene l’accusa, per svicolare le indagini. A completare il quadro, le intercetta­zioni. Durante i colloqui in via Gleno, Taiocchi non fa mai il nome di Romano, ma alcuni passaggi sarebbero inequivoca­bili anche per il gip Ciro Iacomino, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per cessione di armi illegali, un reato che prevede pene fino ai dieci anni. Assistito dall’avvocato Luigi Villa, Romano potrà chiarire lunedì nell’interrogat­orio di garanzia.

Uscito dalla mega operazione «Nduja» (2005) con una condanna a 7 anni, 8 mesi e 20 giorni per associazio­ne per delinquere, estorsione, violenza privata, usura, ma non di stampo mafioso, «don» Pino nel 2012 era tornato in manette per estorsione, questa volta con il 416 bis. L’ultimo procedimen­to a suo carico, dopo un periodo da sorvegliat­o speciale, risale a novembre 2017 quando l’Antimafia di Brescia ha ottenuto il sequestro, come misura di prevenzion­e patrimonia­le, dell’appartamen­to dal quale è stato prelevato l’altro ieri.

 ??  ?? Le armi La semi automatica e la pistola a penna in ottone con le munizioni. Sono armi clandestin­e di cui non si sa la provenienz­a
Le armi La semi automatica e la pistola a penna in ottone con le munizioni. Sono armi clandestin­e di cui non si sa la provenienz­a

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy