Bazoli in aula: «Gli atti della Gdf mi hanno ferito»
Caso Ubi, il banchiere: mai interessi personali
Gli atti della Guardia di finanza in cui si parla di «tendenza a delinquere», associazione per delinquere e misure cautelari, sono stati una «ferita». Il banchiere Giovanni Bazoli non ha risparmiato critiche alle indagini, pur riconoscendo alla Procura di non aver contestato nessuna associazione e di non aver chiesto misure. Imputato di ostacolo alla vigilanza e di illecita influenza sull’assemblea del 2013, nell’ambito dell’inchiesta su Ubi Banca, ha parlato per oltre un’ora all’udienza preliminare. Ha raccontato la sua storia di banchiere e la storia della fusione di Ubi di cui si è definito «ideatore e protagonista». Una scelta per fronteggiare la scalata del Banco Santander alla bresciana Banca Lombarda e Piemontese, poi unita alla bergamasca Bpu. «Sfido chiunque a dimostrare che ho agito per interessi personali e non per il bene della banca, il solo che avevo a cuore».
Niente arringhe Gli avvocati del banchiere hanno scelto di non discutere dopo il suo intervento
La scelta della difesa del banchiere Giovanni Bazoli è nella citazione dell’avvocato Guido Alleva, che lo assiste insieme al collega Stefano Lojacono. Un salto nel 1951, quando lo scrittore e filosofo Julius Evola, rappresentato dal giurista Francesco Carnelutti, si autodifese al processo in cui era accusato di essere l’ispiratore di un gruppo di neofascisti. Colpo di scena, a Bergamo. Quando in aula tutti si aspettavano le loro arringhe, i legali di Bazoli hanno scelto di non discutere «perché bastano le parole del professore, c’è già materiale sufficiente». Hanno depositato una memoria a supporto della richiesta di non luogo a procedere, ma hanno lasciato al presidente emerito di Intesa Sanpaolo «l’arringa» di oltre un’ora, dalle 9.45 alle 11. La prima della mattinata davanti al gup Ilaria Sanesi, con uno scritto come guida.
Il banchiere, imputato di ostacolo alla vigilanza e di illecita influenza sull’assemblea dell’aprile 2013, ha raccontato la nascita di Ubi Banca e si è raccontato. Ha letto il messaggio di apprezzamento del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione del suo commiato nel 2016, dopo 34 anni di attività, quando l’inchiesta era già nota da due. Bazoli non ha risparmiato critiche all’indagine. Alla Guardia di Finanza, soprattutto. Ha parlato di «ferita» riferendosi agli atti in cui gli investigatori hanno scritto di lui e di altri nomi dell’inchiesta in termini di «accentuata tendenza a delinquere», associazione per delinquere e misure cautelari. Con lo sguardo spesso rivolto al pm Fabio Pelosi, nel banco alla sua sinistra, ha sottolineato che, invece, la Procura non ha contestato l’associazione e non ha chiesto misure. La Procura però gli contesta di essere stato lui, sul versante bresciano, il perno delle decisioni delle nomine degli organi di Ubi e delle società. La «cabina di regia», come viene definita nel capo di imputazione. È l’elemento centrale di questa indagine sul quale, è la logica conseguenza, accusa e difesa sono agli antipodi. Il pm ritiene che l’Associazione Banca Lombarda e Piemontese presieduta da Bazoli e l’Associazione Amici di Ubi Banca, esterne a Ubi da qui i patti occulti, coincidessero con le derivazioni bresciana e bergamasca della banca. Non così secondo gli avvocati, che sostengono come le derivazioni fossero entità territoriali astratte e cosa diversa dalle associazioni. Nell’Associazione Blp, ha sostenuto Bazoli, lui era un azionista che rappresentava i maggiori azionisti bresciani. Per altro la parte «compatta», ha detto, a differenza di quella bergamasca, a suo dire più litigiosa. Le consultazioni erano normale dialettica, è la difesa, lecite perché tra persone e non tra le associazioni, oltre che perché erano sulla forma della banca e non sulla governance. «Onnipotente, il dominus, mi definivano gli altri», ha detto il banchiere, anche se non ha negato un ruolo di primo piano legato alla sua storia professionale.
La storia, appunto, delle banche. Ha invitato a calcolare quante siano rimaste in mani italiane, per sottolineare che scelse la strada della fusione del 2007 per fronteggiare le mire del Banco Santander sulla Blp di cui era vicepresidente. Quella, di paternità, se l’è voluta assumere: «Sono stato l’ideatore e il protagonista della fusione». Una novità tra una spa (Bresciana) e una Bpu (Bergamasca). Con un nodo: salvaguardare i bresciani nell’ambito di un voto capitario, cioè uno per testa e non sulla base delle quote. È in quel contesto — ha ripercorso — che le due anime si sono date delle regole. In primis il principio di pariteticità che, altra differenza fondamentale, secondo la Procura era limitato al momento della fusione mentre secondo le difese aveva carattere programmatico. «Nessuno potrà dimostrare che ho svolto attività in Ubi per interessi personali — è il suo messaggio —. Ho agito perché mi stava a cuore il bene della banca».
Il banchiere ha voluto sottolineare un altro passaggio, nel 2012, con il decreto sull’interlocking che vietò i doppi ruoli. Fondatore di Intesa Sanpaolo, lasciò il Consiglio di sorveglianza di Ubi di cui aveva fato parte «con l’autorizzazione dell’Antitrust». E, l’ha voluto dire, non ha mai spinto per l’ingresso della figlia Francesca (imputata, ieri in aula), anzi glielo sconsigliò. Lei entrò solo nel 2016, è la sua difesa, dopo i fatti contestati. L’udienza prosegue il 23 marzo con le repliche del pm. Slitta invece al 13 aprile la sentenza che era in scaletta per il 6. Probabilmente per motivi di opportunità: quel giorno è prevista l’assemblea dei soci di Ubi.