Brizé e il paradiso perduto della giovinezza
Come il cinema francese sa raccontare l’amore, non riesce nessuno. Lo dimostra la produzione del regista Stéphane Brizé, oggi tra i più autorevoli nel vecchio continente, presentata nella sezione «Europe, now!» del Bergamo film meeting. Oggi, alle 14.30, in auditorium, la proiezione di «Quelques heures de printemps» (Alcune ore di primavera) e domani, alle 16.15, del suo film più conosciuto in Italia, «Une vie» (Una vita), presentato alla Mostra del cinema di Venezia, che porta sul grande schermo l’omonimo romanzo di Guy de Maupassant, datato 1883. Il film, ambientato nella Normandia di inizio 800, narra dell’aristocratica Jeanne, interpretata da Judith Chemla, dai sogni e aspettative dell’infanzia alle delusioni della vita adulta. Per affrontare il testo, l’autore ha impiegato oltre vent’anni. «Mi sono accostato al romanzo tardi, a 27 anni, legandomi da subito al personaggio femminile, ma mi ci è voluta la maturità di uomo e regista, e tanti soldi spesi in psicoanalisi, per poter arrivare a farne una mia opera — spiega Brizé —. La storia è atemporale e universale: tratta le difficoltà interiori nel superare le illusioni, nel lasciarsi alle spalle il paradiso perduto della giovinezza». Come i colleghi cineasti d’Oltralpe, che con le loro pellicole incarnano storie intense e passionali, Brizé è a suo agio nel descrivere i drammi sentimentali. «Lo stesso pensiamo noi di voi italiani, non certo dei tedeschi, è un’idea che ha a che fare con la cultura e letteratura di un paese — afferma —. Si dice “la femme est lumière”, la donna è luce, e difatti apprezzo l’onestà femminile nel guardare il mondo, l’uomo è portato a mentire per affermare la propria virilità». Martedì, alle 14.30, sempre nella sala di piazza Libertà, si potrà assistere a un altro suo film rivelazione, «La loi du marché» (La legge del mercato), che affronta il problema di un cinquantenne, disoccupato, impersonato da Vincent Lindon, costretto a vivere con un sussidio di 500 euro, alla ricerca di lavoro. Lo stesso attore sarà protagonista anche del suo prossimo lungometraggio dedicato alle dinamiche sociali, «En guerre» (In guerra), che sarà presentato a maggio a Cannes. «È il leader sindacale di un’azienda automobilistica che disloca la produzione in Romania — anticipa —. Se un tempo c’era un patto tra lavoratori e datori, oggi le multinazionali devono guadagnare sempre di più e gli operai spendere meno». Fino a vent’anni, Brizé non aveva mai letto un libro, né visto uno spettacolo teatrale. Ex operatore di regia nella tv francese, ha avuto una svolta dopo un viaggio dalla sua Rennes a Parigi. «Mi sono iscritto a un corso di teatro, ma non era il linguaggio che volevo per esprimermi», dice. Dei registi italiani, chi apprezza di più? «Ermanno Olmi, il suo “Albero degli zoccoli” è un capolavoro per la luce che la verità getta sulla finzione, è un film che si nutre della realtà e questo può accadere solo con grandissimi attori, dotati della capacità di indagare, o gente perfettamente comune».
Il regista italiano che apprezzo di più è Olmi. Il suo Albero degli zoccoli è un capolavoro per la luce che la verità getta sulla finzione