Matteo Rossi: «Il Pd ci ha lasciati soli»
Rossi critica le liste civiche e il Pd: Gori lasciato solo
Ci ha messo cinque giorni a commentare la sua bocciatura alle Regionali. «La delusione è stata forte, è stata una bella botta anche fisica — dice il presidente della Provincia Matteo Rossi ( foto) —. Ma il partito ci ha lasciati soli e la strategia delle civiche si è rivelata sbagliata. Ora bisogna rifondare il Pd, e io ci sono».
Dice che non vuole sembrare rancoroso, che non ce l’ha con nessuno e che è contento per chi ce l’ha fatta. Ma se si toglie alle sue parole qualche strato di ancestrale prudenza democristiana, si capisce che dentro Matteo Rossi qualcosa brucia. Altrimenti non si spiegherebbe perché il presidente pd della Provincia abbia aspettato cinque giorni per commentare la sua bocciatura alle Regionali. A fronte del primato fra i candidati pd in 180 Comuni contro i 60 dell’eletto Jacopo Scandella. E con 5.199 preferenze contro le 1.348 bastate a Niccolò Carretta per essere eletto con la Lista Gori. Dopo lo spoglio Rossi si è messo in malattia al lavoro e non lo si è visto in Provincia.
«La botta si è sentita — ammette —. Ho avuto un contraccolpo anche fisico, del resto da gennaio lavoravo 19 ore al giorno. Ho avuto anche una notte di grande amarezza in cui ho pensato di abbandonare la Provincia. Ma ho sempre fatto politica con il cuore: c’è il bello della passione e il brutto della delusione. Tanti mi hanno aiutato e ora ci si rialza». L’ambizione c’era.
«Volevo continuare a vivere la bella storia che abbiamo costruito in questi anni. Avrei voluto portare le istanze, le passioni, i bisogni e le speranze della Bergamasca in Regione, dove ci sono competenze e risorse per sostenerle. L’interruzione di questa storia mi ha molto amareggiato». Visti i numeri, non c’è rabbia?
«Delusione sì, rabbia no. Dobbiamo dire grazie a Giorgio Gori: è l’unico che si è assunto la responsabilità di guidare questo percorso. Il partito regionale ci ha lasciato soli. Ma sono contento di avere perso dentro il Pd». Nel senso?
«Avevo avvisato che le liste civiche invece di allargare il campo avrebbero tolto voti al partito. La strategia si è dimostrata perdente e nel tritacarne sono finito io». Ed è stato eletto Carretta con un quinto dei suoi voti. «Sono contento per lui». Sì, vabbè.
«In questa fase nella segreteria nazionale del Pd sono arrivate persone che si vantavano di non avere la tessera. Bisogna decidere se siamo un soggetto politico o uno spazio in cui chiunque è legittimato a giocarsela. Guardo l’accaduto con perplessità».
La sua strategia sembrava: oggi la Provincia, poi la Regione, poi chissà. E adesso?
«Questi calcoli non mi appartengono. Sono diventato presidente quando nemmeno si sapeva quanto le Province sarebbero durate. Fra sette mesi termina il mio mandato e ho un patrimonio di consensi, progetti e relazioni». Che però si usura in fretta se non lo si usa.
«Non c’è un piano B. Il partito deve avere un nuovo gruppo dirigente, che deciderà se la mia esperienza è utile. Ma la politica non dev’essere un lavoro, io un lavoro ce l’ho». Bisogna tirare a indovinare: segreteria del partito?
«No, ci sono tanti giovani e tocca a loro. Spero in un profondo rinnovamento. In città ho visto persone divise a congresso e poi unite: sono operazioni con il fiato corto che si smontano in fretta». Facciamo qualche nome? «No, non sono rancoroso». Ritentiamo: Comune di Bergamo?
«No, è un’ipotesi remota, e poi le decisioni le deve prendere il nuovo gruppo dirigente. Domenica scorsa la città ha dato a Gori una bella dimostrazione di affetto e consenso. Farebbe bene a dire se è nelle sue intenzioni continuare. Spero che possa rivincere e sono pronto a dargli una mano». Cosa resta?
«Si torna al lavoro, parlerò con gli eletti. E poi bisognerà ricostruire il partito: a livello regionale è stato il peggior risultato dai tempi di Martinazzoli. Ho delle cose da dire. Per esempio spero in un Pd federale con più autonomia ai territori. Ma non cerco ruoli né ricompense». Che colpa dà a Renzi?
«Fino al referendum abbiamo tenuto botta sull’idea del cambiamento, ma ha interpretato il referendum in modo sbagliato. E a quel punto non abbiamo più avuto parole. Siamo stati un’ottima forza di governo ma le pulsioni di questa fase storica si sono dimostrate più forti. Renzi può essere simpatico o antipatico, ci ha portato al 40%, ma un politico va giudicato da come sa interpretare una fase. Siamo ai minimi storici, bisogna ricominciare da capo». Vedrebbe Gori al suo posto?
«Non è una questione di uomini: non si parte da uno solo ma da una riflessione collettiva. Senza base ci scordiamo le altezze». E la base cosa dice?
«Sono un politico di territorio, e per questo ho visto prima di molti altri il rancore, le paure, il bisogno di protezione. Tutte questioni sulle quali non siamo riusciti a dare risposte giuste». Fabio Paravisi
Nei paesi La botta si è sentita, ho avuto un contraccolpo anche fisico e volevo lasciare la Provincia. Ma ora si riparte, bisogna ricostruire il partito e ho un patrimonio di consensi e relazioni. Anche se non so ancora che cosa farò Matteo Rossi