Boss, falsari e criminali di provincia
L’inchiesta che ha portato all’arresto di Pino Romano. Domani l’interrogatorio
Domani mattina Giuseppe Romano potrà chiarire la sua posizione nell’interrogatorio di garanzia. Il pregiudicato di spicco della Bassa, 59 anni, è finito in carcere per due armi clandestine trovate a Massimo Tajocchi, arrestato a ottobre per ricettazione. In quell’inchiesta Tajocchi viene definito «crocevia di affari loschi» con rapporti stretti con il falsario Valerio Ferrari, un mago dei documenti clonati. Ci sarebbe la sua mano anche dietro a un traffico di rame nocivo.
La figura di Tajocchi Trovato con le armi si presume di Romano, per il gip è «crocevia di affari loschi»
«Un vero e proprio “crocevia” di traffici illeciti ed affari loschi, incessantemente dedito alla tenuta di contatti ed allo sviluppo di intraprese di natura illecita». È il 27 ottobre 2017 quando le auto della Guardia di finanza si fermano davanti al bar alla Celadina di Massimo Tajocchi, 59 anni, con residenza a Urgnano e casa a Desenzano. Devono portarlo in carcere per ordine del gip Federica Gaudino, che non ha dubbi sulle tendenze criminali dell’arrestato e sulla cerchia allargata delle sue conoscenze poco raccomandabili. Nel ricordare i precedenti penali per ricettazione, falsi e droga, il giudice lo descrive come uno che sa come muoversi nel sottobosco criminale bergamasco-bresciano. Anzi, che ci sguazza. Fino a che livello, però, in quel momento nessuno lo ipotizza.
È quando vanno a perquisirgli casa che ai finanzieri si apre un mondo. Da una sacca spuntano due armi clandestine. La prima è una semiautomatica Mauser, l’altra è qualcosa di più, qualcosa che in un attimo getta un’ombra inquietante sulle frequentazioni di Tajocchi: una penna pistola in ottone, già vista agli uomini delle cosche calabresi. Troppo anche per un tipo dalla fedina penale non proprio immacolata come la sua. Se quelle armi appartengano a Giuseppe «Pino» Romano, il pluripregiudicato originario della provincia di Vibo Valentia ma da anni residente a Romano di Lombardia, è tutto da dimostrare. Portato in carcere giovedì, domani potrà dare la sua versione nell’interrogatorio di garanzia (avvocato Luigi Villa). Di sicuro, però, i pezzi messi insieme dall’attività meticolosa dei finanzieri compongono un quadro poco rassicurante, con situazioni e personaggi al limite dell’inverosimile.
Nell’ordinanza che a ottobre rimanda in cella per ricettazione «il crocevia» Tajocchi (dopo tre mesi è andato ai domiciliari, avvocato Federico Pedersoli) ci sono già gli ingredienti per una buona sceneggiatura. Tutto ruota attorno al re dei falsari del Nord Italia. È Valerio Ferrari, 66 anni, con laboratorio ad Azzano San Paolo, a venti metri dalla casa della madre dell’amico Tajocchi. Era sfuggito alle manette per una decina di giorni, poi lo hanno trovato imbucato in un monolocale di Agrate, dove avrebbe continuato a sfornare documenti fasulli anche nella breve latitanza. D’altra parte, che fosse uno richiesto per la qualità del suo lavoro era noto. Clonata era persino la sua Ford Fiesta, rubata in Francia ma con telaio e numero di targa che rimandavano a un cittadino piemontese. E opera sua, secondo il giudice, era la carta d’identità usata da Andrea Camozzi, 35 anni, di Brusaporto, per prosciugare il libretto postale alla pensionata di Carugate Maria Pia Monguzzi, dalla cui denuncia era partita l’inchiesta. Ad aprile 2014 si era ritrovata senza 329 mila euro, i risparmi di una vita. I soldi erano stati prelevati alle Poste di via Locatelli, a Bergamo, da «Marco Rossetti». È il nome del figlio dell’anziana, ma non era stato lui a ritirare il denaro. C’era la mano di Ferrari, sempre secondo l’accusa, anche sui documenti che hanno accompagnato auto e camper rubati e venduti all’estero. Come su un certificato con timbro (falso) dell’Ordine dei chimici veneto da spendere per 10 chili di rame elettrolitico in polvere, una sostanza altamente nociva acquistata da altri due del giro in Russia e da piazzare in Slovacchia per un milione e 800 mila euro.
Ora, ad aggiungere peso alla trama ricostruita dal pm Emanuele Marchisio, è entrato in scena Romano, che del locale di Tajocchi risultava di- pendente. In quell’assunzione che ritengono fittizia gli inquirenti vedono una prova del legame tra il ricettatore e il pregiudicato di spicco della Bassa. Altre sono contenute nei colloqui intercettati durante la detenzione e nelle telefonate che Romano avrebbe cercato di fare a Tajocchi mentre i finanzieri erano già con lui.