Porto d’armi, la sfida del Dottor Sorriso
Il dentista dei Vip perde al Tar e va in Consiglio di Stato: già subìto furti e una rapina
Il «Dottor Sorriso» contro la prefettura. Giovanni Macrì, dentista noto per le apparizioni tv e da anni residente a Bergamo, ha chiesto il rinnovo del porto d’armi ma se l’è visto rifiutato dalla prefettura, per «restrizioni sui rilasci». Macrì ha fatto ricorso al Tar e ha perso, e quindi si appresta a rivolgersi al Consiglio di Stato. «Ho paura — dice — perché sono già stato vittima di scippi, furti e di una rapina a mano armata».
«Guardi che io ho una condotta morale perfetta, sono una persona per bene. Non ho mai litigato con nessuno. Neanche con mia moglie. Non ho mai avuto neanche una multa in autostrada e manco so come è fatto un tribunale». Dalle parole di Giovanni Macrì, il «Dottor Sorriso», come viene chiamato per la sua rinomata attività professionale dentistica ed odontoiatrica (svolta tra Londra, Milano e Bergamo dove risiede da 35 anni con la famiglia) insieme ad una leggera vena ironica, traspare, però, una fermezza granitica nel proposito finale. «Io non mi fermo e andrò avanti, ricorrerò anche al Consiglio di Stato perché ritengo di essere stato leso nel mio buon diritto». Il diritto in questione è, secondo il professionista noto anche per le sue numerose comparsate televisive (anche ieri ha risposto trafelato tra una pausa pubblicitaria e l’altra di una diretta tv), il porto d’armi.
Macrì lo aveva in tasca da una decina d’anni, ma la Prefettura di Bergamo a cui si era rivolto, nel maggio scorso, gli aveva negato il rinnovo. Niente porto d’armi per difesa personale. Macrì ci era rimasto
Ho paura, nessuno considera questo? Sono una persona sempre più esposta e specchiata, non ho mai preso una multa in autostrada e non so come è fatto il tribunale, ma ho già subìto furti e una rapina Giovanni Macrì Il no della Prefettura, poi anche del Tar. «Diritto leso, andrò al Consiglio di Stato»
male, perché non riusciva a capire le motivazioni alla base del diniego. «Non c’entrano nulla la mia figura e la mia condotta personale — tiene a precisare in modo netto —. Mi era stato detto che la legislazione sulle armi ha imposto delle limitazioni nel rilascio dei permessi. E, in queste maglie, diventate più strette, ci sono finito anche io. Tutto qui, nessun altro motivo ostativo». Macrì, però, non si è arreso a questo primo altolà e, assistito dall’avvocato Maria Agostina Cabiddu del Foro di Milano, ha fatto ricorso al Tar di Brescia. Che, in buona sostanza, non ha fatto altro che ribadire le motivazioni addotte dalla Prefettura. Aggiungendone altre, oltre a quella cardinale: «La legislazione sulle armi rivela la tendenza ad escludere ogni favore all’impiego dei mezzi di autotutela dei singoli e la necessità di evitare la loro diffusione tra la collettività».
Secondo il tribunale amministrativo, non è stato dimostrato che il medico sia «esposto a un pericolo più intenso rispetto alla condizione della generalità» dei cittadini. Macrì non ci sta e, ancora prima di una giustificazione legata alle sue attività professionali, mette davanti a tutto la paura. «Questo fatto non lo considera nessuno? — chiede — Io ho paura, perché sono già stato vittima di scippi, furti e di una rapina a mano armata».
L’episodio risale a qualche anno fa. Macrì sta uscendo dal suo studio milanese quando viene avvicinato da un malvivente che, pistola alla mano, si rivolge a lui in modo perentorio: «Se non mi dai l’orologio, ti ammazzo» è la minaccia. Macrì mantiene il sangue freddo: «Non me lo togliere, te lo do io…» dice sfilandoselo dal polso. Così, addio oggetto prezioso. A questo si associano altri episodi, tra cui alcuni furti nei suoi studi professionali di Milano e Bergamo. «Ma è evidente che per lo Stato italiano tutto questo non basta a giustificare il porto d’armi» afferma laconico il dentista, confutando un’altra motivazione espressa dal Tar che afferma come non sono «emersi elementi tali da evidenziare che l’incolumità» del medico «si possa considerare a specifico repentaglio». Macrì fa il dentista ed è socio di un locale pubblico meneghino, non fa il portavalori ma ciò non toglie che la sua condizione, assimilabile a quella di migliaia di imprenditori, non possa contemplare motivi di imprevedibile rischio e imponderabile pericolosità. «Io non mi fermo — conclude — ho sempre avuto il porto d’armi, sono un cittadino specchiato e le condizioni per averlo in tasca sono molto più attuali di quelle del rilascio un decennio fa».