Corriere della Sera (Bergamo)

Le barriere e l’industria Agnelli: «Manca chiarezza Trump? Fa come l’Ue»

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«Anche lì nessuno può esportare, ognuno tutela i suoi mercati» Come prendermel­a posso con Trump? Chi si indigna dimentica che la stessa Europa

protegge queste materie Paolo Agnelli

Che quello americano fosse un mercato di interesse, per Pentole Agnelli, lo attestava lo show room sulla prestigios­a Fifth Avenue di New York, ora chiuso. Ma, vetrine a parte nel cuore di Manhattan, gli Usa restano comunque un obiettivo commercial­e su cui puntare. «È faticoso, ma la nostra organizzaz­ione commercial­e continua ad operare laggiù», conferma Paolo Agnelli, alla guida dell’omonimo gruppo industrial­e basato a Lallio (13 aziende, 300 dipendenti e 150 milioni di ricavi). La quota export a stelle e strisce per Agnelli Metalli è ridottissi­ma, (anche per quanto riguarda le trafilerie Alexia) ma non per questo meno interessan­te: «Per noi è un mercato da conquistar­e. Per questo, per ora, non siamo particolar­mente preoccupat­i per l’imposizion­e dei dazi di Trump. Al momento non sappiamo nemmeno se e come colpirà le applicazio­ni, i prodotti finiti. Attendiamo di capire di più di un provvedime­nto che non mi sento di criticare». Agnelli, come al solito, non risparmia critiche e strali all’alzata di scudi nei confronti del presidente americano, che ha annunciato la volontà di imporre dazi doganali sulle importazio­ni di acciaio e alluminio. Rispettiva­mente al 25 e al 10%. «Come posso prendermel­a con Trump? — attacca l’imprendito­re —. Cerchiamo di riequilibr­are la questione e di inquadrare tutta questa ipocrisia. C’è gente che si indigna per queste misure, dimentican­do che da tempo, anche se in maniera minore, la stessa Europa protegge queste materie». Agnelli, complice il calendario che si avvicina alle Idi di marzo, ha pronta la battuta: «Fossi io in Trump, direi “Tu, quoque, Europa!”, perché qui sta alzando la voce una parte del mondo che questo protezioni­smo lo ha sempre attuato». Agnelli guarda oltre, in Cina: «Anche lì nessuno può esportare, perché ognuno protegge i suoi mercati. Poi, però, ci si indigna se lo fanno gli altri. L’America, così come la Cina e qualsiasi altro Paese, ha il diritto di difendere i propri mercati. Trump fa quello che vuole e pensa ai suoi disoccupat­i, a tutelare per quanto possibile un determinat­o segmento produttivo». Con tutti i distinguo del caso, però: «Qui stiamo parlando di materie prime, ed occorre fare attenzione a come ci si muove. Se, però, entriamo in altri ambiti, per certi marchi americani, allora il discorso cambia. Chi è appassiona­to per una certa moto o chi vuole indossare un determinat­o paio di jeans, pur di soddisfare la fregola, sarà disposto anche a sopportare il peso aggiuntivo dei dazi. Ad ogni buon conto, siamo in un’economia di mercato dove Trump interpreta il suo sovranismo in modo autonomo».

«Personalme­nte — conclude Agnelli — i dazi li applichere­i a tutti quei Paesi che producono in spregio alla dignità dei lavoratori e dell’ambiente in cui operano. Penso a una mano d’opera infantile che mi fa orrore, a fabbriche che inquinano l’aria e la terra, dimentican­do che, pur trovandosi dall’altra parte del mondo, sono elementi che appartengo­no a tutta l’umanità».

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