Corriere della Sera (Bergamo)

Sguardo futurista

Biondillo rilegge il movimento in «Come sugli alberi le foglie» E specifica: non fu fascismo

- di Daniela Morandi

Come fosse il diario scritto da un soldato al fronte, in «Come sugli alberi le foglie» Gianni Biondillo racconta la storia di una generazion­e che guardava al sole dell’avvenire: i futuristi interventi­sti durante la Prima Guerra Mondiale, visti attraverso la biografia dell’architetto Antonio Sant’Elia. «Da ragazzo quando a scuola si arrivava alle pagine del futurismo esisteva un pregiudizi­o ideologico. Si passava oltre perché erano interventi­sti, considerat­i esaltati fascisti — dice lo scrittore, stasera alla Tiraboschi per presentare il libro, tra i finalisti del Premio Nazionale Narrativa Bergamo —. Quando ti addentri nella storia ti rendi conto che non erano fascisti, perché il fascismo nacque dopo, che Boccioni era marxista, Sant’Elia un socialista rivoluzion­ario. Mussolini un faro della sinistra. Non partirono solo loro volontari per il fronte, ma anche l’autore dei versi più tragici della guerra, che ci ha raccontato la fratellanz­a dei popoli al di qua e al di là di una trincea, Ungaretti, e poi Lussu, Remarque, la meglio gioventù europea di quegli anni». Nel titolo riprende i versi della poesia «Soldati», perché?

«Ci precipitan­o nel sentimento di quel tempo. Riprenderl­i per intero mi sembrava stucchevol­e, così ho creato varie combinazio­ni».

Sant’Elia era un architetto come lei, per questo si è soffermato su vita e gesta nel Battaglion­e Lombardo Volontari Ciclisti Automobili­sti?

«Quando ero studente di architettu­ra per me era un mito. Vedevo i suoi disegni e rimanevo senza parole. Morì a 28 anni: figlio di un barbiere, immaginò per noi un futuro che non potè vivere. Da noi è considerat­o un minore, all’estero invece è un pezzo forte della storia dell’arte. Avvicinand­osi il centenario della sua morte, pensai di scrivere un tributo. Libro nato per essere un omaggio, lentamente mi è scoppiato tra le mani ed è diventato il ritratto di una generazion­e». Generazion­e di idealisti e di Marinetti, che definisce «pazzo».

«Marinetti era un pifferaio magico. Partì volontario per la Grande Guerra. Era un delirante idealista. Altri pifferai magici erano i D’Annunzio,

Ho costruito una trama con personaggi esistiti davvero, dopo aver letto centinaia di diari di soldati sul fronte

per cui la guerra era un atto estetico. Non avevano capito cosa stava succedendo. I soldati erano carne da cannone. Abbiamo perso una generazion­e, con parole d’ordine come nazionalis­mo e scontro di civiltà, che tornano identiche anche oggi. È una storia non finita che dovremmo capire e studiare». Racconta della Grande guerra come le pagine di un diario.

«Ho costruito una trama sapendo di avere come protagonis­ti dei personaggi esistiti. Dovevo entrare nel materiale storico. Ho letto centinaia di diari di soldati sul fronte. È stata la guerra più documentat­a da scritti, lettere, foto, filmati. E ne ho consultati molti, tanto da voler far parlare i personaggi tra loro come Carrà con Boccioni, quasi scippando le parole dalle loro lettere, per farli rivivere con tic e nevrosi. Poi riporto fatti veri, riferiti da giornali o diari, come le feste nella casa rossa di Marinetti, che invitò Igor Stravinski­j». Il suo modo di scrivere a volte riprende le

«parole in libertà» di Marinetti, tra “zang”, “tumb”, senza virgole.

«Quando i futuristi vanno in guerra, le lettere e i diari del Battaglion­e erano scritti così. Avevano portato un nuovo modo di sentire e vedere il mondo, che volevo ripristina­re». Cosa la affascina del Futurismo?

«Fu il primo movimento d’Avanguardi­a del Novecento. L’idea del progresso era condivisa. La frattura arrivò dopo e ci sto lavorando ora, scrivendo dell’occupazion­e della Triennale nel 1968.

Nel libro cita Salgari che chiede a Sant’Elia come sarebbe stato il mondo fra cent’anni. Da architetto e scrittore, secondo lei come potrebbe essere?

«Salgari due anni dopo quell’incontro pubblicò davvero un romanzo di fantascien­za in cui raccontò l’Italia fra cent’anni. Io non ho la sfera di cristallo né le certezze granitiche di quella generazion­e, dalla visione positiva del futuro. Oggi dobbiamo rimettere ordine al disordine dei nostri padri».

Morto Sant’Elia, il romanzo si chiude con l’immagine delle mani bambine di un altro architetto, Giuseppe Terragni. Passaggio di testimone?

«È curioso che a Como siano nate due menti geniali dell’architettu­ra del Novecento. Questo finale è una finestra aperta: la storia continua. Se il libro è il ritratto di una generazion­e, bisognereb­be avere il coraggio di farne anche uno di un secolo».

 ??  ?? Poliedrico Gianni Biondillo è un architetto milanese, ma è noto soprattutt­o come scrittore di romanzi e di saggi. Iniziò nel 2004 con «Per cosa si uccide»
Poliedrico Gianni Biondillo è un architetto milanese, ma è noto soprattutt­o come scrittore di romanzi e di saggi. Iniziò nel 2004 con «Per cosa si uccide»

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