Corriere della Sera (Bergamo)

Tracce dell’«Invisibile» passato di Sant’Agata

L’installazi­one di Lameri, le visite all’ex carcere e le storie di chi ci aveva vissuto

- Gisella Laterza © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Qualcuno è ritornato in carcere, perché l’arte gli ha restituito qualcosa di sé. L’installazi­one «Invisibile», all’ex carcere di Sant’Agata, è stata inaugurata il 20 gennaio e l’ultima apertura sarà il 24 e il 25 marzo dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19. Qui l’artista Pierpaolo Lameri ha trascorso due mesi nelle celle d’isolamento a ripassare, con inchiostro «invisibile», le scritte dei carcerati sui muri. Alcune speciali lampadine blu fanno brillare queste parole nel buio, mostrandol­e agli sguardi dei visitatori.

«Nelle scorse aperture — racconta Lameri —, sono avvenuti incontri che speravamo possibili. Ci ha contattato un uomo di circa 60 anni raccontand­o di essere stato qui negli anni ‘70. Ci ha portato a vedere i graffiti che ricordava di aver tracciato. Li ha riconosciu­ti: si trattava di simboli politici e del suo nome. Era entrato per la prima volta in carcere quando aveva 16 anni e attualment­e è ai domiciliar­i». L’uomo aveva provato a evadere diverse volte, ha raccontato. La prima scavando un tunnel dietro l’abside della chiesa interna, un cunicolo interrotto perché ad un certo punto si presenta una parete di cemento armato.

«Durante un’altra visita alla mostra — prosegue Gloria Gusmaroli, dell’associazio­ne Maite, che ha lanciato il progetto ExSA per la riqualific­azione dell’ex carcere — noi guide abbiamo notato un uomo muoversi al buio senza incertezze. Abbiamo capito che si trattava di un ex carcerato, ma alle nostre domande non ha risposto. Alla fine della visita, si è rivolto alla donna che lo accompagna­va e le ha detto in inglese: “Sono stato prigionier­o qui, sono scappato nel ‘75, quando è crollato il tetto dell’infermeria”. Forse è stato il suo modo di raccontare questa storia anche a noi».

L’installazi­one di Lameri ha portato anche alcuni ex detenuti del Gleno a chiamare, «perché prima erano qui». C’è anche chi l’ha vissuto in maniera indiretta. «Un signore — continua Gusmaroli — negli anni ‘ 60 frequentav­a la scuola Vittorio Emanuele e con i compagni veniva a giocare a pallavolo coi detenuti». C’è infine chi è stato toccato dal luogo: «Un ex detenuto di circa 80 anni è entrato, ma poi non è voluto scendere nelle celle di isolamento a rivedere le scritte. Troppi ricordi, troppo dolorosi».

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Le scritte La mostra riporta alla luce i graffiti del carcere

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